Un triangolo amoroso tra ragazzi è infatti materia estremamente delicata, nel gestire l’imprevedibilità adolescenziale c’è sempre il rischio di appiattire tutto, è un periodo che vive di spigoli e smussarli per applicarci comodamente una storia di fantasmi impedisce di sottolineare i momenti più difficili, ma Sukdapisit è così delicato e onesto nel costruire questi tre ragazzini che pare faticoso accettare la minor importanza della classica visività grezza e strambamente bombastica, qui sostituita da un crescendo narrativo sottile e d’acciaio. La morte della ragazza, fidanzata di uno e sogno irraggiungibile dell’altro, è quella carta che regge il castello, toglietela e crolla tutto, e infatti dalla piscina che i tre frequentavano per l’allenamento quotidiano sgorgano paure, pensieri, sospetti e tradimenti che si infittiscono sino a una comprensibile quanto lucida follia: realtà e fantasia si sottraggono e vicenda, le ossessioni vengono a galla e soffocano il povero Perth, incapace di distinguere quello che gli sta attorno da quello che vomita la sua mente.
Dalla tradizione thai di fantasmi e apparizioni permane quella parte più debole e accessoria del film, Sukdapisit fa ricorso molto spesso a rapidissime scene spooky che, se da un lato si distinguono dalla massa per l’ottima costruzione, dall’altro soffrono di un accompagnamento sonoro purtroppo insopportabile: gli archi che strillano e le sottolineature solenni provengono da una visione dell’orrore vecchia di almeno dieci anni, ma se è giusto sperare che prima o poi Sukdapisit se ne accorga intanto ci si accontenta della cruenta visione complessiva, che non ruba niente all’occhio più goloso e regala ottimi momenti tra corpi impiccati, feti ripugnanti e cadaveri marci. Si potrebbe dire che, con uno scenario così fradicio d’acqua, è già molto non avere una palese Sadako con i capelli sugli occhi, ma in realtà l’architettura delle sequenze nasce da matite e righelli che conoscono le misure alla perfezione e The Swimmers ha un bel grappolo di situazioni non facili da scordare anche senza ricorrere a comodi spargimenti di sangue: la dieta a base di uova o l’assurda gravidanza sono trovate per me da incorniciare e che da sole elevano la già alta qualità del film.
E se, come vorrebbe la tradizione thai, i dialoghi lasciano a desiderare, assestandosi su scambi di parole mai così profondi come forse servirebbe, il taglio dei personaggi è talmente fino che certa stupidità adolescenziale emerge con forza giustificando clamorosamente qualche caduta più o meno involontaria. La facilità con cui Ice si lascia sedurre, il rapporto tra Perth e la nuova ragazza o le occhiate che Tan rifila all’amico sono tipici comportamenti giovani, sono leggerezza e superbia che spurgano come il male che lentamente viene evidenziato. Ed è quell’arroganza sciocca e schiumosa a funzionare come benzina ideale per il tormento di Perth, il delirio che presto gli frigge il cervello lo scaraventa in un incubo che Sukdapisit dirige febbrile, dando quella confusione lenta e stanca tipica dei sogni eterni dovuti alla febbre. The Swimmers regge bene le due ore di durata con numerosi scossoni, alcuni un po’ imprecisi altri invece micidiali, colpiscono forte e lasciano un segno che spero rimanga bene in evidenza e funga da modello per il futuro horror del cinema thai.