"The Theatre Bizarre" è un modernissimo "Creepshow" narrato attraverso gli stili diversi di sette giovani registi dalle origini e dalle esperienze differenti. Il filo tematico che lega i sei episodi in cui è suddiviso il film, è il teatro del "grand guignol" francese, cui si ispira tutta l'opera. Il Teatro parigino, situato nel Nono Arrondissement, dalla sua apertura, nel 1867, fino alla sua chiusura, nel 1963, si specializzò in spettacoli decisamente macabri e violenti. E' necessario, prima di esprimere un parere d'insieme sul film, dire però due parole su ciascuna storia, soprattutto per dare il giusto peso a ciascun autore. "The Mother of Toads", di Richard Stanley, è una versione neogoticheggiante della fiaba di Biancaneve, rivisitata in stile horror, dove il "principe azzurro" è sedotto immediatamente dalla strega, che lo coinvolge in un coito selvaggio senza bisogno di ricorrere a nessuna mela adamitica. Il protagonista del pezzo è tuttavia l'ambiente naturale, denso di muschi e pullulante di viscidi rospi verdognoli, molto intenso ed evocativo, ma tuttavia non sufficiente a dare smalto all'episodio, che rimane il più debole e superfluo della serie. "I love you", di Buddy Giovinazzo, è invece un psicho-horror molto secco ed efficace, soprattutto nelle parti dialogate, nonchè nel climax sanguinolento finale. Un episodio che avrebbe avuto bisogno di un tempo di sviluppo più fluido, ma che tuttavia risulta ottimamente pensato e costruito, in particolare nella resa espressiva dell'ideazione paranoidea del protagonista. "Wet Dreams", di Tom Savini, è una riflessione sulle angosce di castrazione maschili, tutte declinate dentro il rapporto di coppia, nel quale il rapporto triadico-edipico è pervertito dalla presenza extra-analitica dell'analista, cuoco pazzo che cuoce a fuoco lento il suo paziente, con l'aiuto della moglie-carnefice e realizzatrice diurna degli incubi notturni del marito. Molto efficace la prima inquietante sequenza della vagina-mostro. "The Accident", di Douglas Buck, è un corto molto poeticamente evocativo, perfettamente fotografato e ambientato, e direi, nella sua elementare semplicità, il pezzo migliore della pellicola. "Vision Stains", di Karim Hussain, ci parla della trucidissima condotta tossicomanica di una donna, assetata, potremmo dire, di visioni pre-mortem delle sue vittime, di cui parassita il passato e i ricordi. Lo script e lo sviluppo di questo frammento narrativo è davvero interessante e si presta a innumerevoli vertici interpretativi, anche dal punto di vista psicoanalitico, poiché fa venire alla mente del clinico molti concetti e pensieri sul funzionamento della coppia analitica in seduta (per esempio l'idea kleiniana di 'identificazione proiettiva'). "Sweets", diretto da David Gregory, ci parla di bulimia in senso stretto, ma soprattutto metaforico, cioè culturale, alternando una fotografia ipomaniacale e lisergica, a inquadrature grigie e opache di interni in cui una coppia completamente disfunzionale "ricorda" il suo passato di folli piaceri alimentari. Il quadro d'insieme del film è mutevole, produce un effetto di diffrazione visiva e tematica notevole, pur rimanendo comunque centrato sul tema del "teatro", poiché ogni episodio potrebbe in realtà essere rappresentato appunto a teatro (a parte, forse, il primo, in cui le locations esterne la fanno da padrone). Ciò che tuttavia mi sembra il limite di questa pellicola (recensita molto favorevolmente sul suolo statunitense) è di rimanere nell'ambito del puro esperimento d'avanguardia. Esperimento che tale rimane, un' esperienza che cioè non produce ancora effetti o aperture particolarmente significative nella ricerca artistica attinente al genere cinematografico perturbante. Siamo cioè di fronte a un importante sforzo creativo estrinsecato da tutti i registi all'opera, qualcuno dei quali, come ad esempio David Gregory, guarda a modelli illustri come il Greenaway di "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante" (1989), sforzo che tuttavia genera prodotti che non fanno certo gridare al miracolo. In sintesi "The Theatre Bizarre" è un'opera frammentaria, limitata dalla stretta tempistica dalla struttura "a episodi", ambiziosa a tratti, a momenti interessante e godibile, ma che non si salva dalla critica di essere un'operazione fredda e intelletualoide che cerca di rincorrere e integrare molte intuizioni del genere horror contemporaneo (soprattutto europeo). Tale integrazione non avviene affatto, ahimè, con buona pace dei recensori statunitensi. Film da vedere solo per ragioni filologiche nonché per cercare di capire quali siano oggi i principali filoni di ricerca dell'avanguardia cinematografica perturbante. Semi-consigliato.
Regia: Douglas Buck, Buddy Giovinazzo, David Gregory, Karim Hussain, Tom Savini, Jeremy Kasten, Richard Stanley Soggetto e sceneggiatura: John Esposito, Buddy Giovinazzi, David Gregory, Karim Hussain Fotografia: Eduardo Fierro, John Honoré, Karim Hussain, Michael Kotschi Montaggio: Robert Bohrer, Douglas Buck, Maxx Gillman, Pauline Pallier Musiche: Simon Boswell, Susan DiBona, Pierre Marchand, Mark Raskin Cast: Udo Kier, Virginia Newcomb, Amanda Marquardt, Amelia M. Gotham, Catriona MacColl,Shane Woodward, Victoria Maurette, Tom avini, Lena Kleine, Debbie Rochon Nazione: USA, Canada, Francia Produzione: Severin Films, Metaluna Productions, Nightscape Entertainment Durata: 114
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