Mr. e Mrs. O'Brien (rispettivamente Brad Pitt e Jessica Chastain) combattono ogni giorno per una vita migliore, senza risparmiarsi, seguendo l'etica e la spiritualità sincere che li contraddistinguono. La loro esistenza scorre basandosi sul lavoro, su una competitività a volte spietata con gli altri e su un modello familiare irreprensibile. La vita, però, è ben più che il risultato della nostra volontà o delle nostre azioni, la vita è incomprensibile, la vita è una grazia e, come ogni vera grazia, sembra assoggettata al più totale arbitrio.
The Tree of Life si basa sulla forza delle testimonianze, quella della propria fede e quella di un trascendente a volte spietato. Tu lasci che succeda qualsiasi cosa dice uno dei piccoli di Mr. e Mrs. O'Brien, e lo dice in preghiera, rivolgendosi proprio a Dio, arrabbiandosi quasi di nascosto e dandogli del tu (mentre il padre naturale frappone un filtro linguistico che allontana i figli e diluisce l'affetto in una rigidissima impersonalità). Perché dovrei essere buono se tu non lo sei? Per i tre figli il valore dell'esempio è assoluto: i ragazzi lamentano l'incoerenza dei genitori (e degli adulti) e non accettano quella di Dio. Come dire che i conti non tornano. Che troppa morte c'è stata da quando la vita ha cominciato a invadere la terra, e anzi: non c'è vita - come non c'è promessa e non c'è preghiera - che basti a contrastare tutto ciò.
Immerso in una storia che non è mai solo la sua, l'uomo di questo film doloroso di Terrence Malick è responsabile fino in fondo del suo operato, ma non delle sue esperienze, che invece fatica a maturare. I personaggi sono tutti designati nel modo più anonimo possibile, tranne Jack, il piccolo protagonista che reincontriamo anche da adulto (con le fattezze di Sean Penn). Quella della famiglia O'Brien mira ad essere una storia universale, spersonalizzata, un capitoletto di una filogenesi di ineluttabile dolore, dove non esiste espiazione, non esistono "correzioni" di sorta. Riportato alle sue origini ancestrali, l'uomo è una creatura sola, dispersa in un mondo ostile e tanto più grande di lui, dove l'albero della vita è una memoria personale, quasi segreta come una cicatrice ben occultata.
Si respira un'aria torbida, come quando ci si specchia in una pozzanghera. Il cielo è sempre plumbeo, la felicità sembra sbucare fuori da fotografie in bianco e nero rubate al panico - o meglio: all'incubo - di un presente irreale. Anche i valori sembrano sganciati da una vita quotidiana: la famiglia O'Brien, pur salda nella propria fisionomia morale, sembra isolata dal suo contesto, non ci sono amicizie, né veri incontri. Il lavoro, quello quotidiano, è visto solo come esempio di realizzazione personale; tutta l'esistenza di questa famiglia è proiettata in quel discrimine tra vita e morte, o piuttosto: tra vita e non vita. L'etica di una lotta disperata per guadagnarsi il proprio posto e la propria dignità, l'etica della dedizione assoluta si scontrano allora con una grazia che non arriva, che non ci si concede. Dice Mr. O'Brien, nella sua sconsolata lucidità: ho umiliato lo splendore e non ne ho ammirato la magnificenza. A lui sembra rispondere la moglie, che pur condivide la sconfitta nella scommessa esistenziale, quando nel suo trasporto metafisico si abbandona a una preghiera accorata: fai del bene, meravigliati, spera.