Israele, Belgio, 2015
15 minuti
Manca poco alla fine di questo 2015, ma con altissime probabilità (e con lo stilare degli imminenti resoconti ne avremo conferma), al momento il cortometraggio di Rachel Monosov, prima mondiale all'ultimo IFFR, si posiziona indubbiamente tra i migliori visionati nel corso dell'anno. The Visitor, opera dai contorni fantascientifici, tanto suggestiva ed estetizzante nella sua introduzione di uno spazio fuori/oltre il tempo, quanto criptica nell'attuazione di alcuni frangenti che si caricano di elementi simbolici, a primo impatto difficilmente analizzabili (tipo i minerali avvolti in carta d'alluminio, o l'incursione finale all'interno di una grotta con il seguente seppellimento di due oggetti metallici dalla forma conica) ma probabilmente, ad una più attenta visione, indici di preservanza storico-ambientale. Al momento però, la cosa certa, come suddetto, è la scansione dello spazio (un deserto della Giudea dall'aspetto selenico, appunto, fotografato in un bianco e nero argenteo) nel quale veniamo di colpo proiettati assieme al "visitatore" del titolo (una donna, come da contesto/proiezione locale, vestita di nero), senza limitarci a seguirne il percorso durante la sua scrupolosa perlustrazione del territorio, ma finendo per assumerne noi stessi la visuale. Per buona parte del metraggio, infatti, mediante le dinamiche della soggettiva, la percezione di osservare attraverso lo sguardo di questa viaggiatrice immemore delle proprie radici e intenta a raccogliere informazioni ricognitive su di un "pianeta", ora, a lei socialmente e geograficamente alieno, la si percepisce già nell'imperfezione di quelle carrellate circolari che scattano sull'ambiente (nella prima parte), ma anche nella successiva e più approfondita ispezione faunistica, dove animali impagliati come nel kotzamaniano Washingtonia, paiono fungere da incrollabili testimoni di un mondo perduto (come potrebbe dimostrare il daino a inizio film, intrappolato nei disturbi di un'immagine analogica). E probabilmente, ciò che vediamo in The Visitor attraverso il suo viaggio esplorativo sulla ricerca/riappropiazione delle origini (della Storia, dell'umanità), è proprio la futura registrazione di un mondo che ha già vissuto la propria débâcle; sconfitto da guerre e lotte sociali, e che ora, l'utopistica rappresentazione della Monosov svela ai nostri occhi come la possibilità di un nuovo inizio. Tanto basta, affinchè la monocromia predominante dell'ambiente/pianeta venga così intercalata da improvvisi lampi di rinnovata luce, colori (la flora in rosso, la fauna in blu) e suoni (affidati ai sintetici effetti acustici di Hillal Tubi, richiamanti la science-fiction del passato), pronti a restituirci nella loro composizione, una nuova ed inaspettata visione del mondo alla quale, infine, non rimane che assistere, vinti ed ammaliati.