In realtà "The Walk" - ora possiamo dirlo - da approfondire ha ben poco se non nulla, tolta la parentesi antecedente a quella storica operazione, tuttavia sorvolabile e nemmeno così essenziale. La pellicola di Zemeckis altro non è, infatti, che una possibilità differente di usufruire dello stesso racconto, in una formula meglio vestita e pettinata, nella quale concedersi persino qualche licenza poetica per rendere il risultato finale più patinato e laccato. Del carattere e della personalità di Petit, così come delle ossessioni e delle sue ambizioni, se ne poteva intuire già il carico assistendo alla preparazione del piano che lo aveva portato - aiutato dai suoi complici - ad eludere la sicurezza dei due palazzi, in cui voleva fare irruzione (punto di partenza di "Man On Wire: Un Uomo Tra Le Torri"). L'intero lavoro affidato a Joseph Gordon-Levitt, di costruirgli attorno un background, è perciò solamente un surplus e un rimarcare di quel che per certi versi poteva essere abbastanza chiaro e afferrabile. Tuttavia queste considerazioni Zemeckis le aveva colte in anticipo e per cui, sapendo di dover compiere una missione futile, ma spettacolare, decide di arricchire il suo show chiedendo al protagonista di mettersi in mostra come narratore attivo e di parlare a tu per tu con gli spettatori come fossero dei suoi amici (oltre che utilizzando la magia del 3D per le altezze).
Si chiude così quindi "The Walk" con un istantanea larghissima su quelle due Torri che il finto Petit guarda dalla Statua Della Libertà con ammirazione e gloria, mentre la luce di un tramonto piano, piano oscura i contorni dell'immagine lasciando che a rimanere visibili, per un secondo, siano solo loro.
Sentire un brivido percorrere il centro della nostra schiena in quel caso è normalissimo, più normale addirittura di quello che, magari, può aver provocato Petit mentre si inginocchiava a mezz'aria, immerso nel cielo con New York sotto i piedi.
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