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“The Wolf of Wall Street” vs “Dallas Buyers Club”, alias Leonardo DiCaprio vs Matthew McConaughey. Chi vincerà l’Oscar?

Creato il 17 febbraio 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

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Alla luce delle nomination all’Oscar 2014 per il miglior attore, la lunga sequenza iniziale di The Wolf of Wall Street ha del profetico, beffardo e maledetto. Pochi minuti in cui Matthew McConaughey sembra già mettere in discussione quella benedetta statuetta dorata per il collega e amico Leonardo DiCaprio. Una sfida aperta, senza dubbio la parte più succulenta della serata degli Academy Awards.
C’è da stare col fiato sospeso perché entrambi hanno vinto il Golden Globe come miglior attore: McConaughey in un film drammatico, DiCaprio in un film commedia/musicale. Sono quindi tutti e due in pole position e si spintonano per restare sullo stretto predellino del podio. Ma chi cadrà dalla torre? La sfida tra The Wolf of Wall Street e Dallas Buyers Club si configura così come la battaglia tra Leonardo DiCaprio e Matthew McConaughey…
Consideriamo i due film e le due prove attoriali…

Sex, drugs &… istrionismo nel caso di DiCaprio, emozione nel caso di McConaughey. L’Academy premierà la perfezione tecnica o i brividi lungo la schiena? Due film diversi, nei toni, nello stile, nel tipo di performance richiesta. Due film accomunati però dall’essere ispirati a due storie vere, con due protagonisti che vivono nell’inferno/paradiso di donne, sesso, droghe e medicinali. Stesso sostrato, stessi anni Ottanta, parabole di vita assolutamente differenti.

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La vita di Jordan Belfort è più che spericolata, è a dir poco tirata fino all’estremo. Il personaggio interpretato da Leonardo DiCaprio non è un lupo, è un caimano, è un chupacabra. L’avidità si estende dal denaro alle donne, dalla cocaina al possesso dei suoi clienti. In The Wolf of Wall Street l’ormai settantenne Martin Scorsese ci consegna la nitidissima fotografia di uno dei broker di maggior successo nella storia della finanza mondiale. E dietro la macchina da presa lo fa con l’energia e la lucidità di un esordiente pronto a stupire e scandalizzare.

Volendo quindi restare sulla linea dei vizi di Mr. Belfort, The Wolf of Wall Street è un film eccitato ma non eccitante, strafatto ma non stupefacente. Lo spettatore assiste ad un biopic che diverte in più occasioni per l’assurdità delle situazioni, ma non ne viene emotivamente coinvolto. Troppe tre ore di pellicola per raccontare la storia di eccessi e truffe di un self made man americano. E il film (s)corre, corre tanto e si tiene in piedi grazie alla bravura di Leonardo DiCaprio. Se ci aveva stupito nella “parte minore” di J.Candie in Django Unchained, qui tocca un apice mai visto prima. Sente il personaggio come non mai e lo rende in tutto il suo cinismo. La tecnica è tanta, forse troppa. E qui sta il problema… La forma è perfetta, è l’emozione che non arriva… Se è questo che l’Academy cerca, DiCaprio è spacciato. Ma è la terza volta che gareggia agli Oscar come miglior attore protagonista (i precedenti sono The Aviator e Blood Diamond), quindi per lui la statuetta potrebbe spettare “di diritto”, come un “premio alla carriera”.

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La prova di Matthew McConaughey è somaticamente forte. E la trasformazione fisica è una carta pesante quando un attore è in corsa per vincere un premio. McConaughey, già miglior attore al Festival di Roma 2013, dimagrito 23 chili per questo film, raggiunge quasi la forma scheletrica ottenuta da Michael Fassbender in Hunger o da Christian Bale ne L’uomo senza sonno.

Dallas Buyers Club è un film che trasuda umanità, un film bello, vero, ben fissato coi piedi per terra, asciutto, dotato di quel sano senso di necessità civile che pochi suoi simili (vedi Insider di Michael Mann o Philadelphia di Jonathan Demme) hanno incarnato.
Jean-Marc Vallée pesca nella grande piaga degli Stati Uniti e colpisce duro su uno dei maggiori stereotipi della società americana: il cowboy da rodeo. E lo colloca sul confine tra vita e morte, proprio come quello tra Texas e Messico, tra legale e illegale. La regia del canadese è empatica, non lascia spazio a sequenze inutili, non spinge lo spettatore a provare pena per il protagonista, ma “ammirazione” per le sue gesta. E’ inoltre un film che compie un gran bel lavoro sul sonoro, che tramite ripetuti fischi e stridori accentua l’alienazione e la sofferenza provate dal protagonista.

Dopo il glaciale e straordinario personaggio interpretato in Killer Joe di Friedkin, film che lo ha letteralmente rilanciato, Matthew McConaughey è ora un attore rinnovato, pienamente versatile. Un dato che potrebbe lasciar pensare a nuove possibili future candidature per lui. Ma di trasformazioni fisiche non ne ricapitano nella carriera di un attore e l’Academy  potrebbe rimanerne molto impressionata. Non a caso, nel 1994 per Philadelphia Tom Hanks, dimagrito 13 chili per impersonare anche lì un malato di Aids, vinse l’Oscar per il miglior attore dopo aver vinto lo stesso premio anche ai Golden Globe e al Festival di Berlino… che a vent’anni di distanza la storia sia destinata a ripetersi?

Ora, giunti in fondo a questa “analisi comparativa”, vi starete forse chiedendo: ma Onesto e Spietato per chi tifa?
Per chi tifo? Go Matthew, go!!!


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