Anno: 2012
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 97′
Genere: Drammatico
Nazionalità: USA
Regia: Brian Klugman, Lee Sternthal
Plagiare o non plagiare, questo è il problema. Non si tratta dell’ennesima variazione del celeberrimo dubbio amletico, piuttosto della scelta che deciderà il futuro di uno dei protagonisti di The Words, opera prima degli autori del soggetto di Tron: Legacy, Brian Klugman e Lee Sternthal, nelle sale nostrane a partire dal 21 settembre dopo l’anteprima all’ultima edizione del Sundance. La scelta in questione spetta a Rory Jansen, scrittore di poco talento che nella sua ambizione letteraria ha il solo sostegno della moglie Dora. Un giorno l’uomo trova un manoscritto nascosto nel doppiofondo di una vecchia valigetta acquistata poco tempo prima durante una vacanza e decide di spacciarlo per suo, perché esattamente il romanzo che avrebbe voluto scrivere. Ma la vita prima o poi ti presenta il conto e per certe scelte devi per forza di cose pagare un prezzo; ed è quello che accade a Jansen quando un anziano si presenta all’improvviso a rivendicare la paternità del manoscritto. In quel momento il castello di menzogne crolla e le parole pronunciate dall’anziano si tramutano in una sacrosanta verità: “tutti noi facciamo delle scelte, la cosa difficile è conviverci”.
The Words racconta il prima, il durante e il dopo, con relative cause ed effetti, di una scelta, quella di un uomo che decide di percorrere una scorciatoia per dare una svolta decisiva alla sua esistenza e alla sua professione, per poi trovarsi in un vicolo cieco con le spalle al muro. Il compito di raccontare per filo e per segno la storia di questo plagio spetta a un altro romanzo firmato dallo scrittore di successo Clay Hammond, letto in pubblico durante la sua presentazione. Il tutto dà origine così a una narrazione filmica stratificata che sceglie come punto di vista quello di Hammond, che con la sua opera rende noti i dettagli che hanno animato il confronto creativo tra il vero e il falso autore del manoscritto. Di conseguenza, lo spettatore si trova costretto a decidere a cosa credere e a cosa no, da quale parte stare e soprattutto se il confronto creativo tra Jansen e l’anziano che rivendica la paternità dell’opera plagiata si sia realmente consumato oppure sia solamente il frutto dell’immaginazione di Hammond. Questi sono senza ombra di dubbio i soli motivi di interesse che riescono a conti fatti a tenere attaccati i suddetti spettatori di fronte allo schermo. Per farlo i due registi scelgono di appoggiarsi a uno script a scatole cinesi, con tre storie incastonate una dentro l’altra. La narrazione scorre parallelamente ribalzando nel tempo e nello spazio, mostrandoci il passato e il presente, intervallato da una cronologia sospesa mai identificabile.
La totalità del racconto si compone come un puzzle fatto di tasselli drammaturgici, consentendo esclusivamente ai dejà vu di dare origine a un sistema di vasi comunicanti che creano legami mnemonici tra una storia e l’altra, un po’ come accadeva ne Il mistero dell’acqua della Bigelow. Peccato che in questo caso la modalità narrativa finisce con l’incepparsi a causa di legami un po’ troppo forzati e macchinosi (vedi le dinamiche che porteranno allo smarrimento e al ritrovamento della valigetta contenente il manoscritto), a personaggi scarsamente delineati che non le giustificano appieno e un impianto dialogico davvero saturo. Mai titolo fu, infatti, così calzante per un film che del fiume in piena di parole non riesce a fare a meno, optando al contrario per passaggi nei quali il compito di raccontare spetta invece alle immagini. Forse per questo motivo la regia risulta piatta, monotona e monocorde, almeno quanto la recitazione di gran parte degli interpreti (Cooper, Irons e Quaid in primis), ad eccezione di una brava e intensa Zoe Saldana, che nei panni di Dora regala una performance di tutto rispetto.