Tanner, un losco affarista americano, in qualche modo ha sgarrato con Tono, capo yakuza che per ritorsione ha fatto rapire i figli di Tanner promettendo, salvo riparazione del torto subito, di restituirli un pezzo alla volta. Questi si rivolge all'amico Harry che gli deve un favore, ex militare americano della 2° guerra che in Giappone ha amicizie, tra le quali con uno yakuza che gli è dichiaratamente debitore, Ken Tanaka. Libereranno insieme i ragazzi ma non tutto andrà liscio, e fra vendette e controvendette... tra Ken ed Harry poi si frappongono segreti storici, legati a una donna.
Film eccezionale, già messo nel mio Olimpo! Qualcuno ricorderà una mia certa avversione ai film che s'addentrano molto in culture locali da parte di chi "locale non è" alla cultura stessa che viene rappresentata, per cui se esprimo un giudizio del genere, su un film americano che parla di yakuza, è perché a mio parere s'è toccata l'eccellenza. Passo la parola a Napoleone, questo è uno dei suoi Incolti.
“…Quando un americano si vuole suicidare, apre la finestra e comincia a sparare su degli sconosciuti. Quando un giapponese vuole suicidarsi, chiude la finestra e si uccide. In solitudine e silenzio. Tutto è diverso.”
Harry Kilmer/Robert Mitchum :-“Ovunque io guardi, non riesco più a riconoscere una singola cosa.”
Oliver Grano/Herb Edelman(caratterista americano di serie TV e cinema, notissimo e molto bravo) :-“E invece è tutto ancora lì. Gli agricoltori certo adesso possono guardare la TV seduti comodamente dal proprio tatami in campagna, e non si può vedere bene attraverso lo smog il monte Fuji come una volta. Ma non farti ingannare. E’ ancora il Giappone e i giapponesi sono ancora giapponesi.
Dusty/Richard Jordan (bravissimo attore giovane inglese molto attivo e presente negli anni’70-’80, molto prematuramente scomparso) :-“Quel tizio non ti piace.”
Harry Kilmer :- “No. Non molto.”
Dusty :- “Quindi come mai te dici che ci si può fidare di lui?”
Harry Kilmer :-“Giri.”
Dusty :-“Gitty?”
Harry Kilmer :-“Giri. Vuol dire Obbligo.”
Dusty :-“Intendi dire che lui ti deve qualcosa?”
Harry Kilmer :-“Sì, più o meno.”
Dusty :-“Beh, questa è una cosa che può funzionare in due modi, Harry. Se domani non siamo vivi, lui non ha più “obblighi” verso di te.”
Goro/James Shigeta(attore caratterista americano di origine hawaiiana ed etnia di discendenza nipponica, anch’egli attivissimo e presentissimo nei ruoli di asiatico in serie TV e cinema, soprattutto negli anni’70) :-“Ken è un uomo tormentato. Si tratta di Eiko, naturalmente, ma è anche il Giappone. Ken è una reliquia, un residuo di un’altra epoca, di un altro paese.”
Eiko Tanaka/Keiko Kishi :-“Hai parlato con Ken?”
Harry Kilmer :-“Sì.”
Eiko Tanaka :-“Lo sa che siamo qui?”
Harry Kilmer :-“Certo.”
Eiko Tanaka :-“E’infelice?”
Harry Kilmer :-“Io sto per andare a trovarlo.”
Eiko Tanaka :-“Ma egli è infelice?”
Harry Kilmer :-“Certo che è infelice, è stato infelice da quando ha perso la guerra. Ho continuato a cercare di dirgli che non è colpa sua, ma lui non ascolterà mai le mie parole.”
“Yakuza” (The Yakuza/aka Brotherhood of the Yakuza) (Usa 1975) sceneggiato dai fratelli Leonard e Paul Schrader, è considerato da molti il film registicamente migliore in una carriera già di per sé eclettica e variegata, straordinariamente personale e pressoché inarrivabile come è quella di Sydney Pollack. Il film è uno dei più potenti e notevoli tentativi di coniugare cinematograficamente e narrativamente la cultura nipponica con quella americana, anche come modalità e topòs figurativi ed espressivi. Ciò che colpisce lo spettatore di primo acchito è il cast, perché per ogni vero fanatico di cinema vedere insieme Robert Mitchum e Ken Takakura nello stesso film e nelle stesse scene è un piacere enorme, ma non l’unico, di un film dalle scene d’azione magistrali, tese ed emozionanti, brevi e dagli stacchi secchi, precisi, così come coniato dall’estetica nipponica dei film di Yakuza, e dal finale tremendo di violenza e di enorme potenza stilistica, a conclusione di un film quasi completamente americano nella produzione e nei membri della troupe, ma che colpisce come pochi altri film americani, per la rispettosità e la competenza con cui riesce ad accostarsi alla cultura giapponese, proveniente in larga misura dalla preparazione di Paul Schrader e del fratello Leonard in materia. Infatti, è anche tra i pochissimi film hollywoodiani che si ammirano per come affrontano le tematiche dei samurai e della Yakuza, e nel quale sia lo sviluppo del soggetto che la realtà a cui una sceneggiatura di ferro si ispira, viene sentita e restituita come in un film veramente giapponese, nel ritmo soprattutto, che non è da film americano di genere anni’70, ma di film come i celeberrimi “The Graveyard of Honor”(’75) o “Lotta senza codice d’onore” (Battle Without Honor and Hummanity)(’73) di registi eccelsi e famosissimi del genere come Kinji Fukasaku, Seijun Suzuki, e molti altri, certo non può essere una sorpresa che sia così ben girato trattandosi di Pollack, ma in un certo qual senso egli con questo film è riuscito un po’ a “forzare” i propri “limiti” se mai ve ne fossero di reali, riuscendo a realizzare anche un “action” con delle scene che danno una prova di forza e di “climax”, assolutamente sorprendenti.
“Yakuza” , almeno in tutti gli altri paesi è considerato oramai quel che si dice con termine purtroppo quanto mai “logorato”, ma mai meritevole come per questo capolavoro esistenziale e nichilisticamente noir, un “classico assoluto”, che avrebbe meritato ben più successo e maggior riconoscimento al box-office, al momento della sua uscita americana, nel marzo del 1975. Come film di gangster e d’azione, intinto molto nel “nero”, di situazioni e di personaggi, è all’altezza dei più grandi classici storicizzati del genere, e tra essi, è di quelli al livello più eccezionale.
Danny Peary, celeberrimo critico americano, osservò molto bene in un’irrinunciabile saggio-compendio su questo film, come esso fosse “un noir che colpisce certo indelebilmente per le sue fiammeggianti sequenze d’azione violenta, ma come soprattutto sia un film che parla di amicizia, del suo micidiale tradimento, ma anche della lealtà, delle differenze culturali nipponico-americane, oltre che dell’immortale tema della vendetta, qui variato in una eccellente forma narrativa (ma il film è pressoché superlativo in tutti i suoi comparti, a cominciare dalla struggente, malinconica, splendida colonna sonora di Dave Grusin sui titoli di testa, bellissimi anch’essi), Mitchum e Takakura sono più che eccellenti, “speciali”, e il film continua a migliorare per tutto il suo svolgimento, e arrivato alla fine, lascia quasi ogni spettatore molto vicino alla commozione, in quanto un colpo di scena finale particolarmente toccante e inaspettato pone il resto del film in una luce diversa, e ti fa volerlo da subito ricominciare, a rivedere dall’inizio”.
Infatti “Yakuza”, come lucidamente scrisse Peary in occasione della sua prima release americana nel 1975, è uno splendido film sullo scontro di culture, ancora prima che del sanguinoso conflitto che si sussegue nella trama. E’ l’inevitabile scontro della tradizione contro il progresso, e di come il “Vecchio mondo” debba affrontare la dura realtà del cambiamento. E, soprattutto, tema Pollackiano per eccellenza, sulle scelte compiute nel passato, che continuano inevitabilmente ad avere un triste effetto, di rinuncia e impossibilità di cambiare le cose né di recuperare il tempo perduto, nel presente.
I ragazzotti scemi di oggi, secondo i loro demenziali standard, potrebbero trovare irrimediabilmente lento un film come “Yakuza”, nel quale molto di ciò che accade succede sotto la superficie, in alternanza con la sapiente dosatura di violenza, splendido equilibrio dovuto alla sceneggiatura d’acciaio co-scritta dai fratelli Schrader, insieme a –è bene ricordarlo- il plurioscarizzato Robert Towne.
Che cosa avrebbe potuto essere al più “Yakuza”, in altre mani, se non un altro film di genere d’arti marziali, senza certamente la profondità e il portato culturale, nelle sue evidenti differenziazioni, che gli porta la scrittura di Paul e Leonard Schrader, oltre certamente alla superba regia di Pollack, bastino le splendide sequenze notturne a Tokio di Kilmer/Robert Mitchum, alla ricerca della verità, tra le ombre e i rimpianti del suo passato.
Anche la direzione e la recitazione degli attori è di massimo livello, Mitchum (che tra i tantissimi film della sua superba filmografia, della quale però rinnegava se non ripudiava apertamente e per le più svariate ragioni la maggior parte dei titoli, metteva sempre “Yakuza” e il suo ruolo di Harry Kilmer, tra i cinque-dieci film che salvava della sua intera carriera,- cioè considerato il suo carattere-, di cui andava veramente orgoglioso), pur essendo forse anche troppo in là con gli anni per la parte, con il materiale però a disposizione, gli splendidi dialoghi e battute, offre un’interpretazione delle sue migliori in assoluto, crescendo pure lui mano mano che il film procede. I silenzi e le sue annotazioni meste e malinconiche, sono in perfetta corrispondenza del suo famoso stile laconico di recitazione. Ken Takakura al solito, è splendido pure lui come ex uomo d’azione della Yakuza. Ogni scena in cui appare sembra cadere sotto il suo controllo, mentre Keiko Kishi è oltre che maturamente bella, un ricordo resistente nella memoria di ogni spettatore, come “la” donna del passato di Harry.
Se un film come questo fosse stato realizzato oggi, probabilmente gran parte degli avvenimenti e degli interventi dei realizzatori su di esso sarebbero stati improntati ai soliti eccessi culminanti e surreali, a totale e maldestro scapito di una così magnifica storia. Non ci sarebbero stati quei momenti così riconoscibilmente autoriali di Pollack, nei quali una sequenza o un’inquadratura viene portata avanti languidamente, a creare un’atmosfera che è così tipica del suo cinema nostalgico ed echeggiante romanticismo epico, malinconicamente inesprimibile o tradito, atmosfera nella quale lo spettatore può immergersi a più livelli, e nella quale tutto, mirabilmente, funziona.
Come altrimenti spesso accade nei film migliori di Pollack, le cose le parole non dette, inesprimibili, sono ciò che rendono viepiù interessante anche “The Yakuza”. I silenzi e le pause di questi personaggi magistrali portano una tensione interiore che appaga e di molto, l’attenzione che lo spettatore è in grado di restituire a tanta intensità. Questo, è ciò rende un film come “The Yakuza” talmente affascinate. Chi è alla ricerca ed è sufficientemente preparato per apprezzare come e quanto merita un film d’azione violenta e “intelligente”, oltre che d’eccellente realizzazione, troverà in “The Yakuza” un vero capolavoro.
Lo script di questo film venne venduto a 300'000 dollari, che fu la cifra più elevata mai pagata per una sceneggiatura a quel periodo.
Martin Scorsese doveva dirigere questo film dopo “Mean Streets, Domenica in chiesa, lunedì all’inferno”(1973), ma i produttori vollero Sydney Pollack.
Fu anche programmato di realizzare il film con Robert Aldrich alla regia e Lee Marvin protagonista. Quando però Robert Mitchum sostituì Marvin, ciò costrinse fuori dal gioco pure Aldrich. Il regista sostituto Sydney Pollack considerò brevemente ovviamente, anche Robert Redford, per il ruolo principale.
Il gioco a tavolette e dadi giocato dagli Yakuza nel film, è il Tehonbiki.
Originariamente uscito cinematograficamente di 123 minuti negli Stati Uniti. Tutte le versioni video derivate da quella USA sono tagliate di oltre 10 min.
La prima televisiva del film dai network USA fu in una terza serata della rete CBS, sotto il titolo “Brotherhood of the Yakuza”, e in una versione editata seguendo standard delle reti televisive di quel tempo. Sempre paragonandola alle susseguenti copie trasmesse dai circuiti televisivi, l’edizione è orrenda, talmente tanto che uno potrebbe anche non riuscire a seguirne la trama. Per esempio, nell’ultima scena, non viene mostrato come e perché perciò lo spettatore non può averne idea, del motivo per cui la mano di Kilmer sia fasciata.
Più recenti release USA in vhs e dvd hanno perduto i sottotitoli originali impressi su pellicola per i dialoghi in giapponese durante diverse scene. Particolarmente quando Ken costruisce un’apologia su suo fratello verso la fine, e nella scena finale, durante l’emozionantissimo dialogo chiarificatore e riappacificatore tra Harry e Ken.
Uno tra i più bei finali e dialoghi in assoluto del cinema americano degli anni’70, quello tra Ken/Ken Takakura e Harry/Robert Mitchum.
Napoleone Wilson
Impossibile aggiungere qualcosa alla magistrale rece di Napoleone, la più bella che ho letto a mio parere delle sue e la condivido interamente.