Jacques Derrida insiste. Nessun carattere fantasmatico, né tantomeno spettrale, nelle due scarpe dipinte da Van Gogh. Eppure - continua - esse oscillano fra due spettralità, una giocata sull'assenza e un'altra giocata sulla presenza; addirittura, la scarpa come il suo proprio spettro, lo spettro di sé stessa: nel suo abbandono, nella sua materialità che, letteralmente, si svuota. La scarpa, come indizio, se non come prova, di uno spettro assente, esterno alla scarpa. Quasi una soglia, la scarpa, che chiude il visibile.
E Derrida parla di Meyer Schapiro (l'altro critico delle stronzate di Heidegger) come se si trattasse di un detective. Marshall Berman, nel suo saggio del 1994 su Schapiro, incluso in "Adventures in Marxism", va ancora oltre, fino a chiamarlo "detective ontologico": un detective che fa domande sui quadri di Van Gogh alla ricerca di prove; prove che attestino il crimine di Heidegger, il crimine di aver preso il quadro come un esempio a sé stante, sganciato dal contesto dell'artista. Da un'altra parte, invece, in Walser non c'è delitto, ma una scena di morte, di abbandono. Le tracce nella neve non portano verso il futuro. Ma verso il passato, ad una lettura retrospettiva della vita e dell'opera di Walser, a partire da una scena ambivalente e desolante, ma anche emblematica e poetica.