Oggi vorrei darvi l’occasione di riflettere un po’ su alcuni grandi mostri sacri del mondo informatico. Sono aziende che, spesso, non riusciamo neanche a immaginarci come vere e proprie attività, ma più come entità che fluttuano nell’etere e ci accolgono alla nostra entrata nel web: Google, Facebook e Amazon sono alcune di queste. Sono quelle di cui parleremo.
La scelta delle stesse è data dal lavoro di un artista italiano, un media artista, come lui stesso si definisce nel suo sito (http://www.paolocirio.net/cv.php), al secolo Paolo Cirio, classe 79.
Questo ragazzo dall’effervescente meninge, insieme ad altri due compari, ha creato opere definite di net art concettuale, che hanno l’intento finale di farci riflettere sul potere di aziende che sembrano molto più buone delle vecchie multinazionali arcigne, ma che vivono nello stesso mondo in cui niente è fatto per niente, e spesso il tornaconto loro è a spese nostre.
Una volta era l’inquinamento, o l’incitamento alla cattiva nutrizione, oggi è l’abbandonare ogni remora sulla nostra privacy, il dare per scontato che tutto quello che viene da internet sia buono, contrapposto alla tv, i giornali, o, più semplicemente, la vita reale.
Partiamo da Amazon: il progetto si chiama Amazon noir e potrete trovare le spiegazioni dei diretti interessati qui http://www.amazon-noir.com/thestory.html .
Il trio si era inventato un software che, utilizzando la funzione di Amazon che permette di leggere un estrato del libro che si desidera acquistare, spingeva la stessa con 5000 e più richieste, arrivando ad avere il materiale dell’intero volume. Poi il tutto veniva pdfato e condiviso tramite p2p.
La cosa è finita quando l‘Amazon si è comprata il software in questione.
Altra azione, forse ancora più geniale, risalente all’anno precedente (dicembre 2005) è quella denominata Google will eat itself (http://www.gwei.org/index.php).
Il progetto parte con la creazione del sito, seguito dal classico annuncio AdSense per guadagnare con i click (principale fonte di reddito di Google), per poi generare un flusso consistente di visite con un software e il coinvolgimento della community legata al progetto.
Ora Google pagherà questi click.
Che fare con i soldi? Comprare azioni della stessa azienda, portando via un pezzettino alla volta di potere e dividendolo con la community stessa. Piano, piano, s’insinuano nell’azienda come un virus.
Per concludere, la terza azienda, amica di tutti: Facebook.
http://www.face-to-facebook.net/
Con questo progetto, Paolo Cirio e Alessandro Ludovico - che sono solo due persone, nonostante l’abbondanza di nomi propri - hanno hackerato 1 milione di profili non protetti da limitazioni di privacy (è ora che sistemi il mio account!), suddiviso i profili, catalogandoli con un software che riconosceva i tratti del volto, secondo canoni semplici come funny o easy going, e messo il tutto in un nuovo social network, inventato per l’occasione.
Lo scopo? Far riflettere sul fatto che Facebook non è il sostituto di Tom nella carica di miglior amico immaginario, ma una società che estrapola dati e li utilizza per creare profitto. E, più in generale, a renderci coscienti del fatto che la realtà virtuale è comunque operata da persone reali, e che i nostri dati non protetti protrebbero essere presi e manipolati.
Pur non soffrendo personalmente di paranoia da internet, considero l’azione interessante e stimolante.
Se, visitando il finto social network, trovaste il vostro profilo, basta scrivere ai due e farsi cancellare. La loro è un’azione dimostrativa, non terroristica.
Per oggi è tutto. Posso solo aggiungere: think again.
(Ps: mi sono sempre chiesta perché think again e non think about it…ma, questi inglesi…)
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