Ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes 2009, ripresentato al pubblico italiano in occasione dell’8° KoreaFilmFest Florence; ancora, ahinoi, non doppiato ma pur sempre asciutto nella sua forza. Thirst di Park Chan-wook (autore di Old boy e Lady Vendetta) in realtà tutto è tranne che un horror. Perché il vampirismo, in Thirst, è sostanzialmente un dettaglio, un pretesto e un artificio narrativo per parlare di ben altro, nonostante alcune scene che comunque potranno soddisfare i palati degli amanti del cinema dell’orrore più raffinato.
Perché nasconde moltissimi temi, come anche molti finali, la storia di un prete cattolico che, dopo essersi volutamente inoculato un gravissimo virus per farsi cavia per un vaccino, si becca anche il “virus” del vampirismo dopo una trasfusione: dopo l’esperimento andato storto, cambiato nel fisico e nella mente, avvia una relazione clandestina con la “moglie” (o schiava) repressa e insoddisfatta di un amico d’infanzia, si “trasforma” ancora di più innamorandosi (ricambiato) di lei. Quel che è rimasto di umano in lui dovrà lottare fino alla morte per non scomparire definitivamente. Lo farà condividendo le depravazioni. Perché Thirst è anche un film che parla d’Amore (di coppia ed in senso comunitario), di compassione, di egoismi e bramosie, di redenzione, di quali siano le modalità adatte per fare del “bene”, ponendo anche interrogativi sulla natura dell’idea stesso di atto caritatevole. Thirst è un film che mette in luce come l’amore reciproco possa essere una meravigliosa forma di cannibalismo mentale e morale: proprio come i mille finali in cui la storia evolve, ci sono perversioni che si alternano tra l’egoismo e l’altruismo. Il registro varia: dalla commedia, all’orrore, al melodramma, i livelli s’intrecciano, le invenzioni linguistiche si susseguono senza soluzione di continuità. Gli orizzonti del cinema del genio folle di Park Chan-Wook si fanno più ampi e variegati, si conferma la voglia di sorprendere e sperimentare con una levità quasi giocosa.
Si conferma il talento di un regista che è capace di colpire gli occhi e il cuore con immagini cinematografiche di rara efficacia e potenza: un paio di scarpe che vengono donate da lui a lei alla metà del film, ritornano in un finale bellissimo e struggente.