This must be the place

Creato il 15 aprile 2012 da Giuseppe Armellini
"Questo deve essere il posto" avrà pensato Aloise Lange dopo aver scoperto chi era quella specie di relitto umano che gli si è presentato davanti. La neve del resto la vedevano anche loro dall'altra parte del filo spinato, la giovinezza e la spensieratezza, in quella neve, la persero tutti, buoni e cattivi. Non c'è posto migliore di questo, freddo, innevato, sperduto, fatale.
"Questa deve essere l'ora" avrà pensato Aloise Lange, perchè si può scappare un'intera vita da qualcosa o da qualcuno, anche da se stessi, e Aloise Lange questo lo sa, ma poi l'ora arriva e forse in questo caso meglio tardi che mai anche se Cheyenne pensa che tardi è sempre e semplicemente tardi. Questa è l'ora, inutile combattere, e se non è stato lui a trovarmi è giusto che l'abbia fatto Cheyenne.
"Questo deve essere il modo", ecco, questo Aloise Lange non l'ha pensato di certo, perchè in situazioni come queste più che pensare una certa cosa la si spera proprio, si spera che parta quel colpo di pistola a cancellare per sempre un'esistenza che, colpevole o no, ha un peso troppo grande su spalle troppo piccole, si spera che il cerchio si chiudi in maniera definitiva, che i pensieri  fuggano per sempre. Lange apprezza l'inesorabile bellezza della vendetta, la perseveranza che porta alla sua grandezza. Ci sono però vendette più ironiche ma infinitamente più terribili, vendette che chiudono il cerchio in maniera ancora più perfetta, e il Giotto in questione è Cheyenne, che un colpo lo spara, da una macchina fotografica però, e poi manda quel corpo rinsecchito a camminare nel freddo contrappasso dei ricordi. A volte si può esser nudi per mettersi nei panni di qualcun altro.
"Questo deve essere il mio nuovo inizio" avrà pensato Cheyenne, che per 40 anni ha portato i propri 15 anni sotto chili di cerone e rossetti che reggono un giorno intero.
Perchè un conto è sentirsi bambini per sempre, un altro esserlo davvero.
Questo è il mio nuovo inizio, lo sa Cheyenne che fuma la sigaretta della maturità, che torna quel figlio che aveva dimenticato di essere, che quel cerone, barriera di una vita, ora può toglierselo di dosso.
E se Sorrentino in ogni inquadratura, in ogni movimento di macchina, in ogni musica rasenta così la perfezione da sembrar finto a me non frega nulla.
Se Messi fa per la 35° volta le sue serpentine io non dico "che palle", io godo.
E godo di Sorrentino anche se tante volte quelle serpentine, quegli uno due straordinari, quei cucchiai magnifici, non portano a nulla.
Come con la terribile scena di David Byrne, quasi una decina di minuti completamente fuori dal resto, una marchetta terribile.
O come quell'indiano che sale e scende dal pick up come  Dio solo lo sa.
O come quel meraviglioso ma quasi inconcepibile finale che in maniera troppo brusca e forse semplicistica ci regala un altro uomo cancellando in un amen decenni della propria vita. Ma il figlio mai stato figlio prima o poi doveva tornare, i cerchi, l'abbiamo detto, si chiudono sempre. Meglio tardi che mai, stavolta anche Cheyenne sarà d'accordo, perchè quel sorriso, alla fine, esce fuori anche a lui.
Cheyenne chiude tutti i cerchi, quelli che ha cominciato lui e quelli che ha dovuto solo finire.
Tutti piccoli cerchi di piccole storie perchè quello più grande, quello della Storia, non si chiuderà mai.
"Questo doveva essere il mio destino" avrà pensato probabilmente l'ex bambino che ha saputo suonare la chitarra.
Forse si può ancora recuperar tutto.
Una madre.
Una sorella.
Una moglie.
Sè stesso.
Meglio tardi che mai John Smith.
E lascia perdere quella specie di pelota spagnola.
Metti l'acqua in quella piscina e non aver paura di tuffartici dentro.
( voto 8 )

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