This Must Be The Place (che tradurrei in italiano con Questo è senz'altro il luogo...) prende il titolo da una canzone del 1983 dei Talking Heads, il gruppo angloamericano guidato da David Byrne (che, tra l'altro, appare in un breve ma più che significativo cammeo, oltre a essere presente con la sua musica per tutto il film). Il brano - che io amo in modo particolare - è una declinazione del bisogno di un'esclusività assoluta con l'amata, che si identifica come un passionale e irrinunciabile homecoming.
Il film di Sorrentino riprende il tema del ritorno a casa e della passione attraverso una sua negazione: uomini che prendono e se ne vanno via dai loro affetti alla ricerca di qualcosa che li completi. This Must Be The Place di Paolo Sorrentino è un inseguimento, o una gara contro il tempo, di un uomo per raggiungere quel che non è più e non riesce più a essere. In un mondo che viene dopo l'inferno, Cheyenne (Sean Penn) è ormai ben oltre la soglia del suo declino: sa della morte del padre - con il quale non si sentiva da trent'anni - e decide di vendicarne le sofferenze. D'altra parte, Cheyenne è tutto, tranne che un uomo convenzionale. Sposato alla dolcissima e paziente Jane, vive in una casa lussuosissima di cui non capisce il senso o almeno il funzionamento: si è smarrito fuori dal suo ruolo di rock-star e guida "spirituale" di una generazione.
In uno straordinario, brevissimo, monologo - una di quelle orchestrazioni verbali che mi tolgono il respiro - alla presenza di David Byrne, Cheyenne sembra voler vanificare il suo ruolo, manifestando la sua disperazione per ciò che è stato e ha rappresentato nel mondo. Così, l'uomo aggiunge tic e modalità espressive nuove al rimorso e al look da rocker fuori tempo (con un'insistenza umanissima sulle rughe e su ciò che si diventa che ricordo solo nell'antitetico Il segreto dei suoi occhi). Sempre con un fardello su ruote (un carrello della spesa, un trolley), sempre con qualcosa da mangiare o da bere, come per completare la sua figura, Cheyenne si esilia dal mondo, ma sembra volerlo portare sempre con sé, introiettarne più che può.
Se il montaggio sembra, come dire?, il digest di un girato più lungo e più denso, il film così come lo vediamo al cinema guadagna miracolosamente leggerezza ed eleganza. Inquadrature a dir poco lussuose e tempi di ripresa variabili, che contribuiscono con la musica a dare il ritmo al film, appongono il sigillo autoriale a This Must Be The Place. Ma This Must Be The Place è, altrettanto, un film di attori. Prima di tutto, per un indimenticabile Sean Penn (non direi del tutto inedito, come sostiene Fabio Fazio, ma straordinario); ma risultano eccellenti (occorre dirlo?) Frances McDormand e tutto il resto del cast, anche quando meno noti al pubblico italiano. Tra tutti, mi preme segnalare Judd Hirsch, la giovanissima e splendida Eve Hewson e Olwen Fouere, capace, con la sbalorditiva sequenza finale, di dar vita a un intero mondo di attesa, disperazione e improvvisa riapertura al futuro, di dire che le cose possono cambiare. Ed è allora che finalmente Cheyenne/Sean Penn sorride, del sorriso più radioso che gli possa apparire sul volto.