Paolo Sorrentino (Le conseguenze dell'amore, L'amico di famiglia, Il Divo) è la risposta alla domanda "ma perchè in Italia non ci sono più registi di livello internazionale?". Ecco, uno c'è: è - ancora - giovane, è bravo ed ha raggiunto una credibilità a livello internazionale.
Preceduto da un ossessivo battage pubblicitario This must be the place è il (primo?) film internazionale di Sorrentino. Internazionale per la produzione, per il mercato di riferimento ed anche per il cast artistico.
Le mie aspettative erano piuttosto alte, e ammetto subito che non sono andate deluse.
La storia (Sorrentino è autore anche della sceneggiatura) di per sè è piuttosto linerare, ma contiene numerose divagazioni che la rendono difficilmente sintetizzabile. Cerco di riassumere: il film è diviso in due parti, la prima ambientata in Irlanda e la seconda negli Sati Uniti. La prima parte è piuttosto statica e descrive il protagonista, Cheyenne: una rockstar ormai in disarmo che continua a truccarsi tutti i giorni come se stesse sempre per salire sul palcoscenico. In realtà Cheyenne ha da tempo rinunciato alla carriera artistica e vive nella propria lussuosa villa una quotidianità apatica in compagnia della affettuosa moglie Jane, di professione pompiere (!). I principali svaghi di Cheyenne sembrano essere le passeggiate con la giovane Mary (che si intuisce avere una dolorosa connessione con il burrascoso passato della popstar) e gli incontri con alcuni amici dalla personalità non meno borderline della sua. La noiosa routine viene improvvisamente interrotta da una telefonata proveniente da New York: il padre, con cui non parla da trenta anni, è in fin di vita. Cheyenne però è terrorizzato dai viaggi in aereo ed è quindi costretto a raggiungere l'America in nave. Quando arriverà sarà già troppo tardi. Non tardi però per scoprire che il padre, prigioniero in un campo di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale, aveva dedicato la propria vita alla ricerca di uno dei suoi aguzzini. Cheyenne trova un indizio forse decisivo per la ricerca e decide di terminare l'impresa paterna. Qui inizia il film nel film: un vero e proprio road movie in cui Cheyenne viaggerà nell'America profonda fra paesaggi desolati e struggenti ed incontrando una incredibile serie di personaggi. Al ritorno da un viaggio tutti torniamo cambiati, ma è impossibile prevedere in anticipo come; di certo non vi faremo il torto di rivelarlo qui!
Dal punto di vista della scenografia segnalo la cura con cui è stata realizzata la villa "da star" di Cheyenne, con la piscina vuota utilizzata per giocarci a pelota con la moglie, gli ambienti interni studiatissimi e pieni di pezzi d'arredamento esclusivi.
Come sempre nei film di Sorrentino curatissima la colonna sonora, basata su lavori di David Byrne.
Sorrentino ci regala e alcune immagini di bellezza compositiva assoluta e diverse sequenze davvero magistrali.
Fra le mie preferite la scena in cui Cheyenne riceve la telefonata dagli USA, con il filo rosso e attorcigliato del telefono che divide la scena in una perfetta diagonale; una meravigliosa inquadratura - che sembra un dipinto di Edward Hopper - mentre aspetta la moglie del nazista di fianco a una parete di assi di legno. Nella seconda parte del film le inquadrature di paesaggio belli e desolanti la fanno da padrone.
La sequenza in cui Jane fa tai-chi in giardino è di grande padronanza tecnica e grande ironia al tempo stesso, così come quella in cui Cheyenne balla dentro la stanza di un motel al ritmo di "The passenger" di Iggy Pop.
Un grande regalo è la scena dell'esibizione di David Byrne, praticamente un clip completo incapsulato nel film, con il meraviglioso trompe l'oeil iniziale.
Insomma come avrete ormai intuito, dal punto di vista visuale questa è una pellicola che non si fa mancare nulla, e lo spettatore non può che tornare a casa soddisfatto.
Sean Penn regala a Cheyenne una gestualità favolosamente timida e una risatina che taglia come un rasoio. Un personaggio che si nasconde dietro una maschera per paura del dolore, il proprio e di chi lo circonda: in lui apparenza ed essenza sono in assoluto contrasto. Sembra debole e invece lo scopriamo intimamente forte e perseverante.Sembra assente ma in realtà non gli sfugge nulla. Sembra apatico ma sa avere lampi di geniale prontezza, come quando sfida a ping pong due ragazzi in un diner sperduto fra le montagne. Sembra "suonato" dopo una vita di eccessi, ma in realtà vive grandi drammi interiori (commovente la confessione che fa di fronte ad uno sbigottito David Byrne nel ruolo di sè stesso).
Frances McDormand: è una Jane (la moglie di Cheyenne) innamorata del proprio uomo, tenera e buffa al tempo stesso. Jane è un personaggio forte, ama Cheyenne e tenta in tutti i modi di mantenerlo legato ad un realtà da cui parrebbe voler fuggire.
Eve Hewson impersona Mary, la giovane amica di Cheyenne. Promossa nell'interpretazione della adolescente triste, la spettiamo però nei prossimi ruoli per capire di che pasta è fatta davvero.
Harry Dean Stanton: un breve cameo nel ruolo dell'uomo che ha inventato la valigia trolley. Una faccia come la sua non poteva mancare nel viaggio di Cheyenne nel cuore dell'America rurale, ed è ancora e sempre un maestro di recitazione.
Quella che ci racconta Sorrentino è una storia naif e commovente (una naive melody, dal titolo completo della canzone dei Talking Heads). La difficoltà di Cheyene nel diventare adulto, di accettare il lato doloroso della vita, di superare i rimorsi mi è parso un tema molto attuale. Peraltro è proprio il suo sguardo infantile sulle cose, la sua sincerità candida ed irresponsabile, che lo rende irresistibile.
Capire cosa è necesario lasciarsi alle spalle e quando è il momento di farlo. Questo in definitiva mi è parso il tema di fondo della pellicola.
Vivere da adulti restando un po' bambini...ecco un viaggio che vale sempre la pena di intraprendere!