Thomas Merton Poeta

Da Paolo Statuti

La tomba di Thomas Merton nell’abbazia di Getsemani

Quest’anno è ricorso il centenario della nascita di Thomas Merton: prosatore, poeta, monaco trappista, uno degli scrittori più prolifici e più spirituali del XX secolo, autore di opere edificanti e meditative e di poesie d’ispirazione mistica. Nacque il 31 gennaio 1915 a Prades, in Francia. Il padre era un pittore neozelandese e la madre una quacchera americana. Trascorse l’infanzia e la giovinezza in Francia e in Inghilterra. Rientrato negli Stati Uniti, si laureò in lettere alla Columbia University con una tesi su “La Natura e l’Arte in William Blake”. Abbandonata la giovanile simpatia per il comunismo, nel 1938 si convertì al cattolicesimo. Prima della conversione era stato un buon bevitore e un buon pianista di jazz, gaudente con la passione per la poesia e il romanzo, vagabondo amatore, in realtà con la nostalgia del cielo e con un conto in sospeso con Dio.

Nel 1941, dopo aver rinunciato a un posto da insegnante al Collegio S. Bonaventura, nello stato di New York, entrò nell’abbazia trappista di Nostra Signora di Getsemani, nel Kentucky, dove col nome di Father Louis fu ordinato sacerdote nel 1949. Incoraggiato dal suo abate, descrisse l’itinerario che lo aveva portato a convertirsi e a scegliere la vita monastica. Nacque così la celebre autobiografia La montagna dalle sette balze (1948), che vendette nel giro di un anno più di 600.000 copie, non solo per la ricchezza dell’itinerario spirituale, ma anche perché – negli anni della nascente guerra fredda – era una lettura edificante. Ad essa fecero seguito altre opere di grande successo. Per anni i suoi temi principali furono la contemplazione, la preghiera e la ricerca della santità, ma c’erano anche prese di posizione critiche e battagliere, come ad esempio il suo attacco al razzismo proprio nella summenzionata autobiografia. Thomas Merton era un tenacissimo oppositore della guerra in Vietnam e aveva usato parole molto dure contro il suo Paese, gli Stati Uniti. Era “padre spirituale” dell’organizzazione pacifista cattolica americana Catholic Peace Fellowship e nei suoi libri Semi di distruzione, Fede e violenza, Fede protesta e resistenza, Diario di un testimone colpevole, aveva espresso la sua maturazione cristiana e le sue scelte: il primato della nonviolenza, la lotta contro il razzismo, l’ecumenismo, il dialogo con l’Oriente, il discepolato di Gandhi, la difesa e la promozione dell’obiezione di coscienza. Malgrado il voto del silenzio fu amico di Giovanni XXIII, Martin Luther King, Dorothy Day, Erich Fromm, Jacques Maritain, Joan Baez, Bob Dylan, Henry Miller e Boris Pasternak e intrattenne con loro una fitta corrispondenza. Quando morì il grande poeta russo, annotò sul suo diario: “Pasternak è morto lunedì. La sua storia è finita. Ora non resta che comprenderla”.

Proprio durante la guerra del Vietnam, Merton maturò un profondo interesse

per il monachesimo buddista e nel 1968 intraprese un lungo viaggio in oriente, incontrando anche il Dalai Lama che gli manifestò profonda stima.

Morì a Bangkok il 10 dicembre 1968, durante un convegno di monaci e monache benedettini e di monaci buddisti. Aveva svolto una relazione su “monachesimo e marxismo”. Nel pomeriggio avrebbe dovuto rispondere alle domande. Visto che tardava ad arrivare, un monaco andò a cercarlo nella sua stanza d’albergo e lo trovò morto, disteso di schiena con il ventilatore di un metro e mezzo in diagonale sul corpo. Da un esame della polizia risultò che «un filo elettrico difettoso era installato nel ventilatore. La corrente elettrica era abbastanza forte da causare la morte di una persona, se questa avesse toccato la parte metallica». Per una fatale coincidenza Merton era morto nello stesso anno in cui erano stati uccisi sia Martin Luther King che Robert Kennedy, entrambi decisi fautori, come lui, della integrazione razziale e della parità dei diritti civili per tutte le minoranze.

Notevole è stato il contributo di Thomas Merton al dialogo interreligioso. Affermava che sarebbe stato un cattolico migliore conoscendo i “lampi” di verità presenti non solo nei protestanti o nei mistici russi, ma anche quelli presenti nell’islamismo, induismo e buddismo.

Anche nella trappa conservò inquietudini e ansie ribelli, diviso tra monastero ed eremo, letteratura e contemplazione, interventi impegnati e silenzio, protesta politica e vocazione mistica. Un uomo dalle mille sfaccettature, un pensatore impossibile da catalogare e classificare, una figura che continua a provocare, suscitando interpretazioni sempre nuove.

Con i suoi libri tradotti in tutto il mondo, è stato maestro di spiritualità e profeta anticipatore del Concilio. Ha lasciato una eredità proiettata verso il futuro: i suoi versi, i suoi scritti, le sue proteste saranno fonti per la generazioni di domani.

Presento qui alcune poesie di Thomas Merton nella mia versione.

Poesie di Thomas Merton tradotte da Paolo Statuti

San Malachia

A novembre, nei giorni in cui si ricordano i morti,

Quando l’aria profuma di freddo come la terra,

San Malachia, che è molto vecchio, si alza,

Scosta la sottile tenda degli alberi e sorge sul nostro suolo.

Sul suo mantello tante gocce d’acqua, sul suo volto –

La barba di tutti i mari di Poseidone.

(Ha il pastorale o il tridente nella mano?)

Dietro la finestra gotica piange, e il vuoto convento

Geme come conchiglia dell’oceano.

Due campane con flebile voce

Accolgono il vecchio forestiero

E la torre osserva le sue acque.

“Mi hanno mandato per vedere la mia festa,” (la sua caverna parla!)

Devo scuotermi le gocce dai riccioli e restare nel transetto,

O lasciarvi e riposare nel silenzio della mia storia?”

E risonarono le campane e noi aprimmo le antifone

E gli scriccioli e le allodole volarono via dalle pagine.

I nostri pensieri diventarono agnelli e i cuori si agitarono come mari.

Un monaco pensò che dovessimo cantargli

Un inno dell’età della pietra

O qualcosa nella lingua dei giganti.

Così scegliemmo per lui il canto del gigante Gregorio:

Oceani di Scrittura cantarono l’ossuta Irlanda.

Allora gli ultimi fiori salvati

(Coltivati sotto vetro dopo il crollo dei giardini)

Alzarono le loro piccole lampade sull’altare di Malachia,

Per fissare i suoi occhi di legno prima dell’inizio della Messa.

La pioggia sospirò sui fianchi della chiesa di pietra.

Le tempeste veleggiarono tutto il giorno in flotte da combattimento.

Alle cinque, quando cercammo di vedere il sole, l’ospite muto

Si alzò, sospirò e scosse il fango dai piedi

E col suo tridente agitò i nostri alberi

E lasciò il sottobosco, scotendo qualche goccia sul terreno.

E cadono lingue ramate, cadono lingue di fuoco

Le foglie a centinaia cadono al suo passare,

Mentre la notte distende la sua oscurità corazzata

Su questa spuria Pentecoste.

E il Melchizedek della fine del nostro anno

Che è giunto senza una causa, se ne va senza traccia,

E la pioggia viene cigolando sulla nostra foresta

Come le porte di una prigione.

Prima lezione sull’uomo

L’uomo comincia nella zoologia.

Egli è il più triste degli animali.

Egli guida una grande vettura rossa chiamata ansia.

Sogna di notte

Di prendere tutti gli ascensori.

Smarrito nelle hall,

Non trova mai la porta giusta.

L’uomo è il più triste degli animali.

Mangiatore di fiocchi la mattina,

Bevitore di latte.

Riempie la pelle di caffè

E perde la pazienza con gli altri della sua specie.

Egli disegna il suo peccato sul muro,

Su tutte le réclame nei sottopassaggi.

Egli disegna i baffi a tutte le donne,

Perché può trovare la sua gioia

Soltanto nella zoologia.

Ogni volta che vuole telefonare alla Gioia,

Risponde un numero sbagliato.

Quindi egli ama le armi.

Conosce i nomi di tutti i fucili.

Guida una grande Cadillac nera chiamata morte.

Adesso mette la sua ansia nello spazio.

Fa volare le sue inquietudini intorno a Venere,

Ma senza alcun vantaggio.

Nello spazio dove da tanto tempo c’è solo il vuoto,

Egli guida un grande globo bianco chiamato morte.

Cari bambini

Ora che avete imparato la prima lezione sull’uomo,

Svolgete questo tema:

“L’uomo è il più triste degli animali.

Egli comincia nella zoologia

E si smarrisce

Nelle proprie cattive notizie.”

Canto funebre per l’altero mondo

Dov’è quel meraviglioso ladro

Che rubò l’intero raccolto all’adirato sole

E saccheggiò il terreno col suo luminoso sguardo?

Dove egli giace morto, la quieta terra lo disfa

E il vento ondeggia nella rivalsa della terra:

Campi di orzo, avena e segala.

Dov’è quel milionario

Che sperperò la luminosa primavera?

Le cui menzogne sonavano nel cielo d’estate

Come scadenti chitarre?

Che spese le fortune dorate dell’autunno

E morì nudo come un albero?

Il suo cuore giace aperto come una tesoreria,

Riempita di erba e abbondanti fiori.

Dov’è quel folle giocatore

Tra i centesimi del cui sangue sono caduti

I pesanti dollari della sua vita terminata?

Dov’è finito?

Le api irate passeggiano, luminose come gioielli

Su quel fiorente, scuro sole:

La ferita da pallottola nel suo immobile polmone.

Oh tu che provi odio per il giocatore o per il suo nemico,

Ricorda come le api

Visitano i morti che hanno pazientato

E prendono il miele dal loro sangue pietoso.

Tu che hai giudicato il giocatore o il suo nemico

Ricorda questo, prima del funerale dell’altero mondo.

Nel silenzio

Non dire niente.

Ascolta le pietre della parete.

Non dire niente, esse cercano

di pronunciare il tuo

nome.

Ascolta

le pareti vive.

Chi sei?

Chi

sei? Sei il silenzio

di chi?

Chi (sii quieto)

sei (come quiete sono

queste pietre). Non

pensare a cosa sei

ancora meno a

ciò che un giorno potrai essere.

Piuttosto

sii ciò che sei (ma chi?)

sii l’impensabile

che non conosci.

Oh non dire niente, mentre

sei ancora vivo,

e tutte le cose vivono intorno a te

parlando (io non sento)

al tuo essere,

parlando tramite l’ignoto

che è in te e in loro stesse.

“Cercherò come loro

di essere il mio proprio silenzio:

e ciò è difficile. Il mondo

intero è segretamente in fiamme. Le pietre

bruciano, perfino le pietre mi bruciano.

Come può un uomo non dire niente o

ascoltare tutte le cose che bruciano?

Come può osare di sedersi con esse

quando tutto il loro silenzio è in fiamme?”

Lo sconosciuto

Quando nessuno ascolta

I quieti alberi

Quando nessuno nota

Il sole in uno stagno

Dove nessuno avverte

La prima goccia di pioggia

O vede l’ultima stella

O saluta il primo mattino

Del mondo gigante

Dove la pace inizia

E la collera finisce:

Un uccello siede immobile

Osservando il lavoro di Dio:

Una foglia che ingiallisce,

Due petali che cadono,

Dieci cerchi sul laghetto.

Una nuvola sopra l’altura,

Due ombre nella valle

E la luce colpisce nel segno.

Ora l’alba ordina la cattura

Della più grande fortuna,

L’abbandono

Di una non meno stupenda preda!

Più preciso e più chiaro

Di ogni maestro della parola,

Tu intimo Sconosciuto

Che non ho mai visto,

Più profondo e più limpido

Del fragoroso oceano,

Prendi il mio silenzio

Tienimi nella Tua Mano!

Ora l’azione è una perdita

E la sofferenza è incompiuta

Le leggi diventano prodighe

I confini sono cancellati

Perché l’invidia è diseredata

E la passione è niente.

Guarda, l’immensa Luce è sospesa nel silenzio

La nostra più limpida luce è Lui.

Canto

Quando la pioggia canta sommessa e ha inghiottito la mia casa

E il vento avanza attraverso gli alberi,

I cedri fanno festa al temporale con le enormi zampe.

Il silenzio è più rumoroso di un ciclone

Nella rozza porta, mio rifugio.

E là io inghiottisco la mia aria da solo

Con canti puri e solitari

Mentre gli altri sono in riunione.

Le loro finestre si rattristano e disapprovano

E il vetro si corruga per via dell’acqua

Finché non vedo più il loro parlare

Ed essi non conoscono più il mio teatro.

I fiumi rivestono le loro case

E celano la loro nuda saggezza.

Le loro conversazioni

Vanno in profondità come sottomarini:

Le sommergo, con le loro scialbe espressioni, nella mia tempesta.

Ma io bevo la pioggia, bevo il vento

Notevoli poemi

Che evaporano dalla fredda foresta:

Sollevo verso il vento i miei occhi pieni di acqua,

La mia faccia e la mente assetate di refrigerio.

E così io vivo sulla mia terra, sulla mia isola

E parlo a Dio, al mio Dio, qui sulla soglia –

Quando la pioggia canta sommessa e ha inghiottito la mia casa

E i venti si fanno strada attraverso gli alberi.

La sera

Ora, nel mezzo della limpida sera,

La luna parla lucente alla collina.

I campi di grano suonano la loro musica,

Lodano il quieto cielo.

E lungo la strada, da cui le stelle tornano a casa,

Gli strilli dei bambini

Che giocano all’aria aperta, a un miglio o più,

Giungono al nostro deserto udito,

Chiari come l’acqua.

Dicono che il cielo è fatto di vetro,

Che la luna sorride come una sposa.

Dicono che amano i frutteti e i meli,

Gli alberi, le loro innocenti sorelle, vestite di fiori,

Che ancora indossano, nel crepuscolo che si adombra,

I bianchi abiti della prima comunione del mattino.

E nel cielo blu dove il fuoco lancia gli ultimi bagliori

Essi nominano i pianeti che di nuovo giungono

Con parole che fioriscono

Sulle sottili voci, lievi come steli di gigli.

E nel cielo blu dove il fuoco lancia gli ultimi bagliori,

Riflessi nel mormorio di un pioppo,

Un piccolo vigile uccello

Canta come uno scroscio.

(C) by Paolo Statuti