I motivi sono numerosi.
Innanzitutto, un colpevole e del tutto ingiustificabile ritardo nell'apertura delle porte con la scusa di un sound check che - come dirò dopo - non ha neppure prodotto i risultati sperati. Dalle 21-21,30 previste, le porte si sono aperte quasi alle 22,30, determinando una lunga fila su via di Pietralata e un congelamento di massa nell'atrio del locale. Il risultato di tutto questo è che il concerto di Thony (al secolo Federica Victoria Caiozzo) - dopo l'esibizione dei Mamavegas e il riallestimento del palco - è iniziato dopo le 23.30.
In secondo luogo, il palco è troppo basso per essere ben visibile e veramente alla portata di tutta la sala; a me la cosa non ha disturbato perché ero in prima fila con la mia macchina fotografica, ma credo che mi sarei alquanto incavolata se fossi entrata più tardi e mi fossi trovata molto indietro.
Terzo: le luci sul palco sono troppo fisse e piuttosto orribili. Nessun momento di luce chiara tra una canzone e l'altra per staccare e permettere un'atmosfera diversa, e soprattutto luci improponibili per fare delle foto decenti. Per fortuna ero talmente vicina che qualcosa di buono è venuto fuori lo stesso.
Quarto, la gestione dell'acustica è stata da voto sotto lo zero. Volumi degli strumenti e dei microfoni continuamente o troppo alti o troppo bassi, con risultati di amalgama dei suoni per niente soddisfacenti e conseguente fastidio dei cantanti e dei musicisti che hanno dovuto dialogare tutto il tempo con il tecnico del suono senza di fatto ottenerne nulla.
Tutto questo ha finito per mettere in secondo - se non in terzo o quarto piano - i concerti, che invece si annunciavano molto interessanti.
Magari non del tutto originali (ma quale musica lo è per davvero?), ma alcune tracce sono particolarmente incisive, vedi ad esempio Sooner or later (Time), Tales from 1946 (Love) e anche Mean and Proud (Beauty). Bella anche l'idea dei titoli dei brani che ne contengono un altro, ossia il riferimento a un tema universale di cui nel testo viene riproposta la lettura in chiave mamavegasiana. La partecipazione di Colapesce all'esecuzione di Blackfire è una interessante sorpresa.
Ed eccoci a Thony. Come già sapete, l'avevo apprezzata molto come interprete di Tutti i santi giorni, ma ancora prima come cantante nel concerto in cui aveva fatto da apertura a Joan as Police Woman. Come ha detto la stessa Thony, l'avevo apprezzata in "tempi non sospetti".
L'ho adorata nel piccolo live acustico alla Libreria Feltrinelli di via Appia di qualche settimana fa. Atmosfera soffusa, un "folto numero di pochi intimi", un pubblico attento e innamorato. Una Thony in splendida forma fisica e sonora.
Il suo album, Birds, l'ho comprato quasi subito all'uscita e l'ho ascoltato moltissime volte (ne regalo alcune copie anche per Natale).
Lei è lì sempre con la sua aria semplice, da ragazza della porta accanto, scherza col pubblico, beve qualche sorso del suo vodka lemon, racconta i retroscena delle canzoni, anche con qualche commozione. Suona le sue tante chitarre, ci propone quasi tutto il suo repertorio, accompagnata dai suoi splendidi musicisti (menzione speciale per Livia e Leonardo).
L'ambizione del concerto è alta, si capisce che vuole proporci le sue canzoni in una chiave rinnovata, e sperimenta a livello di arrangiamenti e interpretazione. Anche con ottimi risultati. Però, nel contesto del Lanificio (e nelle condizioni che vi ho prima descritto) riesce a funzionare solo un sound dal taglio decisamente rock, come nel brano Sam, mentre sulle altre canzoni si sente la mancanza di un'atmosfera più intima e più acustica.
Ciò detto, Thony dimostra di avere grandi qualità ed enormi potenzialità musicali, oltre a confermarci una qualità umana che la fa apprezzare in ogni circostanza.
Insomma, il concerto dal punto di vista di chi già la conosceva è la conferma di un talento musicale che speriamo sappia preservarsi da ogni rischio e tipo di inquinamento. Ma la prossima volta, in un contesto più adatto, mi aspetto una vera e propria esplosione della sua musica e della sua voce.