Thriller: dell’arte della tensione

Creato il 28 gennaio 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe n. 2

C’era un tempo in cui bastava accennare a parole come “cadavere”, “assassino”, “omicidio”, per sconvolgere il pubblico e attirare la sua attenzione. Oggi, grazie alla vera e propria passione dei telegiornali per i dettagli truculenti – o splatter – dei vari casi di cronaca nera, non è più così. Ciò ha influito in modo nefasto sull’horror, diventato ormai una sorta di vetrina per le fantasie splatter di scrittori e sceneggiatori; ma il thriller, puntando sulla tensione, non ha bisogno di impressionare con uccisioni più brutali della cronaca quotidiana.

Certo, c’è sempre lo scrittore/cineasta che per fare meno fatica prende la scorciatoia dello splatter, ma se si vuole si può evitare, con più facilità in ambito thriller che non in ambito horror. Perché? Semplice. Le notizie di cronaca sono brutali e truculente ma vengono esposte con indifferenza e freddezza, che recepiamo e che ci inducono a nostra volta ad assumere un atteggiamento indifferente, a perdere la capacità di provare empatia, per lo meno con vicende che non ci toccano da vicino. Il thriller invece, o meglio, il buon thriller, trova nel modo, nella costruzione della tensione e nel mantenimento del ritmo serrato il mezzo per coinvolgerci. Se è vero che oggi si è già detto quasi tutto, in tutte le forme, è anche vero che fondamentalmente è il modo di raccontare a fare la differenza.

Finché ci saranno scrittori che sapranno “giocare” con la tensione, ci sarà sempre del buon thriller.

Aniello Troiano



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