ti presento i miei

Da Gynepraio @valeria_fiore

Vivo durante la settimana una sorta di letargo culturale che si interrompe brevemente durante il weekend, quando riesco a dedicare qualche ora alla lettura di un libro o alla visione di qualche film. Questo, ovviamente, se schivo la maledizione delle case da vedere, dei peli da strappare, della spesa da fare. Andare al cinema, oltre a farmi sentire una persona intellettualmente brillante per 90 minuti, mi offre materiale per deliranti post.

Ma questo weekend, che dirvi, è andata diversamente. Non mi bastava guardare pellicole, criticarle, scriverne. Mi andava di prendere in mano le redini della mia vita e trasformarla in una storia degna di essere vissuta, narrata, commentata. Il film io volevo viverlo! Potevo girare una fiction sui trentenni di oggi che non c’hanno il becco di un quattrino e vivono in trenta metri quadrati, sfruttando casa mia come location. Oppure realizzare un thriller su una che dopo aver sentito le dichiarazioni di John Elkann decide di organizzare un attentato à la Kennedy. In alternativa, potevo inventarmi una sceneggiatura fantascientifica su una che tiene un blog e poi diventa una star di Internet, scrive un libro e vince il Pulitzer.

E invece no. Ho prodotto il mio personalissimo remake di “Ti presento i miei”.

Ora, io non avevo alcuna fretta o esigenza di presentare i miei genitori a voi-sapete-chi. Oh, certo, se ai miei genitori piace il mio compagno, questo agevola molte cose: ad esempio, mio padre non gli affibbierà orribili nickname dialettali -come è stato solito fare con tutti i miei precedenti amori- ispirandosi ora alle sue caratteristiche fisiche (Lanternùn=ragazzo alto e dinoccolato, simile ad un lampione), alla sua intelligenza (Piciu d’ nata= ragazzo evidentemente non sveglissimo e pertanto scemo come il sughero), alla sua origine regionale (Napuli=ragazzo genericamente proveniente dal centro-sud) o al suo credo religioso (Monsiù Chierichetti= ragazzo cattolico praticante che va a messa ogni domenica). Dal soprannome, si è in grado di capire il livello di popolarità del soggetto in questione: ad esempio, il protagonista di questa storia era noto inizialmente come “il gavadent” (=il dentista) ma verso la fine, è stato declassato ad un più anonimo “Crinass” (=porco schifoso dai dubbi costumi sessuali).

Sarà stato merito delle sessioni di empowerment allo specchio cui mi sono sottoposta per una settimana (con un mantra pensato per l’occasione: “lui ha scelto te, non la tua famiglia. Se non si piaceranno, questo non toglie nulla alla vostra storia“), ma alla fine l’incontro è andato bene e ci sono stati significativi segnali positivi. Innanzitutto -dopo ben 2 giorni dall’incontro- è tuttora privo di soprannome, indice di un incondizionato rispetto paterno. Ha ricevuto in dono una teglia traboccante di polpette in umido con scritto il suo nome sul coperchio, chiara ed inequivocabile testimonianza di affetto materno. Si sono anche premurati di invitarlo a conoscere il ramo milanese della famiglia, che “a parte la nonna che è un po’ fuori di testa“, sono persone molto simpatiche. Mio padre ha anche fatto il gesto di generosità supremo: l’ha invitato a casa a mangiare il cinghiale che ha cacciato “il mio cugino di Forlì, che per qualche inspiegabile motivo ha il porto d’armi“.

Insomma, è stato promosso. Mi sono cullata per anni nell’illusione che i miei genitori siano preoccupati per la mia felicità. Che il mio benessere conti più di ogni altra cosa. Che non potrebbero mai, mai, mai accettare che la loro unica figlia sprechi la sua vita dietro ad un disgraziato, o che peggio ancora perpetui la razza accoppiandosi con un buono a nulla.

Invece no.  Il tema è diverso. Il cruccio è altrove.

tutti preoccupati per LUI


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