la nostra discussione nella muffa di quell’osteria, nel sobborgo di Tofano, in mezzo al fumo delle sigarette turche? La tua tesi era questa: che l’imperfezione umana, il fatto che le azioni degli altri non sono mai del tutto prevedibili e che del resto non possiamo mai, nei nostri calcoli, tener conto del caso, il quale tuttavia ha la sua parte in tutto, fosse il motivo per cui la maggior parte dei delitti vengono immancabilmente in luce. Dicevi che era una sciocchezza commettere un delitto, perché ti sembrava impossibile usare la gente come le pedine degli scacchi. Io invece più per contraddirti che per convinzione, sostenevo la tesi che proprio la confusione dei rapporti umani rendeva possibili delitti che non potevano essere scoperti, e che proprio per questo motivo la maggior parte dei delitti restavano non soltanto impuniti ma anche insospettati. E continuammo a lungo a bisticciare, animati dal fuoco della grappa che l’oste ebreo ci versava e poi, forse trascinati dalla nostra giovinezza, nell’euforia, abbiamo fatto una scommessa, mentre la luna tramontava sull’Asia Minore, una scommessa di cui chiamammo a testimone il cielo…
Friedrich Dürrenmatt: “Il giudice e il suo boia” (1952)
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