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“Ti sposo ma non troppo”: la commedia degli equivoci funziona sempre…

Creato il 01 maggio 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

ti sposo ma non troppoDa Plauto a Shakespeare, da Goldoni ai giorni nostri, la commedia degli equivoci ha sempre funzionato. E Gabriele Pignotta segue questa scia infallibile per il suo esordio cinematografico Ti sposo ma non troppo, una pura comedy of errors tratta dall’omonima pièce teatrale da lui scritta, diretta e interpretata con grande successo di pubblico.

Andrea (Vanessa Incontrada) viene lasciata il giorno delle nozze al momento del fatidico “sì” e ora perde i sensi al solo udire la parola “matrimonio”, Luca (Gabriele Pignotta), anche lui deluso e sfortunato in amore, è un fisioterapista donnaiolo incallito, Carlotta e Andrea (Chiara Francini e Fabio Avaro) sono una coppia in crisi sull’incerta via dell’unione eterna. Tutta colpa dei social network e delle chat online, i quattro finiscono in un gioco delle parti dove l’equivoco dominerà incontrastato…

Uscito in sordina nelle file della Teodora Film, con un titolo di richiamo che fa eco al sopravvalutato Se scappi ti sposo con Julia Roberts e Richard Gere, Ti sposo ma non troppo è una piccola grande sorpresa, una commedia a suo modo sorprendente rispetto a tante altre nel panorama nostrano. Una comedy pura che, imperniata su elevati tempi comici in cui la risata scatta matematica e con naturalezza, procede senza intoppi, né di noia né di mielosità, in cui il susseguirsi perfetto degli sketch ne denuncia l’origine teatrale, sintomo di come una bella commedia studiata nei dialoghi e nei ritmi possa nascere solo e in primis per le assi del palcoscenico. Pur con le dovute e palesi differenze, lo straordinario Tutto sua madre di Guillaume Gallienne conferma questa teoria.

Una commedia garbatissima, spassosa ed educata, che fa ridere di cuore e non di pancia, che si allontana da qualsiasi cine-panettone o cine-colomba che mina i nostri schermi in occasione delle più note festività. Le parolacce si contano sulle dita di una mano e non scade nello slapstick più grossolano. Lo stile registico, volontariamente semplicissimo per lasciar respirare la sceneggiatura, ricorda quello di Fausto Brizzi (soprattutto nei ripetuti movimenti di macchina in orizzontale in interni), ma non tenta d’imitarlo. Brizzi ha un suo perché e, se vuole, sa marcare la mano sul poetico andante. Pignotta non ha questa pretesa, punta alla leggerezza, legandola però ad un indefinito mood che aggrada lo spettatore. Anche a livello di colonna sonora, non sceglie il commerciale radiofonico di Brizzi, ma qualcosa di più “sofisticato” come Whatever you want degli Status Quo, che, chiave di volta della vicenda, si alterna ad una componente musicale, pressoché costante, scandita da simpatici motivetti a metà tra Un medico in famiglia e le briose commedie (anch’esse degli equivoci) del duo Ficarra&Picone. Inoltre Pignotta non vuole fare la morale a nessuno, ma solo raccontarci una romantica (ma non troppo) storia d’amore ai tempi del 2.0.

Apprezzabile l’elogio del panino con la mortadella (che ricorda e omaggia la storica “analisi politica” degli insaccati fatta da Francesco Nuti in Caruso Pascoski) e la delicatezza con cui tratta il tema della disabilità.

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