Tic e tac

Da Saporireclusi

Quando si varca il cancello del carcere, sembra che tutto si fermi e che tutto ritorni ad essere nuovo, sconosciuto, come se questo tipo di mondo appartenesse a una realtà diversa, separata dalla vita di prima.
Tutto sembra essere un’altra cosa, perfino le piccole certezze che fino a ieri scandivano una normale consuetudine, mettono radici tra le fessure di un regolamento che sembra forte, ma anche difettoso, vuoto.
Tutto vive in funzione di una scadenza temporale. Dopo quanti anni, quanti mesi potrai uscire di qui, essere fuori, tornare alla vita.
Il tuo tempo viene gestito dall’istituto, tutto ha i suoi orari da cui il detenuto non può uscire. Un tempo scandito da rumori, da parole e da gesti.
Essere detenuti significa fare un salto indietro perché non hai più la possibilità di utilizzare il cellulare, internet, la lavatrice, il forno e così ti trovi a fare il bucato a mano, a scrivere le lettere con la penna, a cucinare sul fornellino da campeggio. Un tempo che non si spezza ma si piega su se stesso senza che nulla possa far sentire il suo dolore se non attraverso le lettere che ognuno di noi riceve. Quelli si che ti fanno vivere un momento indimenticabile e ogni volta che hai finito di leggere, le ripieghi, le rileggi, cerchi di trovare qualche senso nascosto in ognuno perché non vuoi tornare subito alla realtà, ma vuoi rimanere appeso a un filo sottile che ti convince che quel tempo fuori non è tuo, ma ti appartiene ugualmente, perché la vita dei tuoi familiari è anche tua e non può essere cambiata. Ma anche questo si può spezzare. Il tempo trascorso in carcere può mandare in pezzi la vita che ci lega alla famiglia, può distruggere un matrimonio che magari non era consolidato e che ora più che mai il carcere ha reso sicuramente più fragile. C’è poi la preziosa mamma, l’unica che, se anche questo tempo fosse lunghissimo, infinito, non ti abbandonerebbe mai, perché si batterebbe in nome del figlio e con il figlio.
La mattina in carcere inizia con l’apertura del blindato della camera detentiva, la “cella” è una stanza normale che può custodire il tuo corpo ma non la tua anima.
No, lei è sempre rimasta libera di sognare, di pensare che sia solo un brutto sogno e che presto potrai riaprire gli occhi e guardare verso il futuro. Le ore d’aria, il passeggio, la doccia, la telefonata a casa dieci minuti una volta alla settimana, che quando succede ti senti vicino a quella vita, pensi che oggi possa essere un giorno particolare solo perché l’emozione di quella telefonata, di un colloquio ti rende felice.
Ma spunta lui “il tempo”, quando vuoi che ti chiami, si nasconde quando non vuoi sentirlo, lui è li puntuale nella voce dell’agente che scandisce la fine del tuo colloquio o dietro il click che ti avverte che la telefonata è finita. Mi sono sempre chiesto perché le cose belle sono assorbite dal tempo in modo diverso da quelle noiose. Ricordo un ragazzo che si mise a polemizzare con gli agenti sui ritardi nell’apertura dei passeggi, diceva che se ogni giorno venivano aperti con dieci minuti di ritardo, in un anno lui avrebbe perso sei ore d’aria circa. Potrà sembrare buffo, ma l’apertura della porta che delimita la zona passeggi dove ognuno può camminare per quattro ore al giorno, diventa un modo per uscire da un interno chiuso e entrare in un esterno altrettanto chiuso. Durante la carcerazione si analizza il passato, si rivivono le storie e tutto appare diverso, perché questo tempo di detenzione ti permette di riflettere sui tuoi errori. Anche in carcere con l’equipe trattamentale studia il tuo tempo trascorso in libertà e ti trovi a riviverlo con l’educatore, con lo psicologo, con l’assistente sociale. Il loro ruolo è quello di studiare la tua personalità e alla fine daranno un giudizio. Sembra che il tempo all’interno di un penitenziario sia la parte fondamentale della carcerazione; e lo è perché senza la sua presenza non potresti tornare a essere un uomo diverso da quello che eri e ora non vuoi più essere.
Il tempo è fatto anche di futuro, e qui lo passi a pensare a quante cose vorresti fare, ma che forse non farai mai. Soprattutto pensi che sarai diverso, perché se non tutti possono avere il diritto di essere diversi, almeno avere quello di provarci.

Giuseppe Gremo e Carmelo La Rosa



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