La notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 in piazza Tienanmen, nelle vie che a quella piazza conducono così come in altre piazze e strade della Cina, vennero assassinati centinaia, forse migliaia di cittadini cinesi.
Rischiamo di non sapere mai come sono andate le cose. Chi era in piazza Tienanmen, chi ci ha perso un figlio come Ding Zilin, lo ha raccontato e continua a raccontarlo, e per questo rischia il carcere e spesso ci finisce. Dal lato ufficiale, il governo cinese non solo ha sempre respinto ogni sollecitazione a ricostruire in modo trasparente e onesto cosa successe a piazza Tienanmen, ma – in occasione della recente apertura degli archivi nazionali – ha anche fatto sapere che i documenti su Tienanmen rimangono segreti, per evitare di recare danni alla “privacy” e alla “reputazione”. Di chi? Di chi impartì la direttiva di smantellare Tienanmen? Di chi diede l’ordine di sparare ad altezza d’uomo? Almeno, sappiamo ora cosa il Partito comunista cinese pensa di Tienanmen e di come ha definito quel periodo: un’“agitazione politica”. Io lo chiamo un massacro.Per il resto, bocche cucite con le buone o le cattive, con la persuasione, l’autocensura o la forza. Shi Tao, un coraggioso difensore dei diritti umani, per il semplice fatto di aver diffuso all’estero una direttiva in cui si “suggeriva” ai giornalisti di tenere un basso profilo nell’imminenza del quindicesimo anniversario di Tienanmen, sta scontando una condanna a 10 anni di carcere. Con la complicità di Yahoo!.Secondo il verdetto della corte, fu la Yahoo Hong Kong Ltd (società di servizi Internet con sede legale negli Stati Uniti) a fornire alle autorità le coordinate del luogo corrispondente all’indirizzo IP da cui Shi Tao aveva inviato l’email, alle 23.32 del 20 aprile 2004. Il luogo corrispondeva all’ufficio di Dangdai Shangbao, il giornale per il quale Shi Tao lavorava. Il portavoce di Yahoo! ha sostenuto che la società aveva semplicemente applicato e rispettato le leggi locali.
Se Tienanmen oggi è un luogo normalizzato, nelle preoccupazioni dei dirigenti del Partito comunista cinese e nelle speranze degli attivisti irrompe un’altra piazza: Tahrir. Non è un caso che dalla fine di febbraio, oltre 130 blogger, avvocati e altri attivisti cinesi siano stati arrestati dalla polizia, sottoposti a sorveglianza e intimidazioni da parte delle forze di sicurezza o “scomparsi”. Diversi di loro, 22 anni dopo, sono ancora una volta finiti nel mirino delle autorità. Nonostante la paura, nonostante il carcere già scontato e quello in arrivo, non hanno perso la determinazione.
Un buon esempio per tutti noi.
Fonte: http://www.corriere.it/