Siamo in un momento in cui Tim Hecker non ha bisogno di presentazioni ed è un piccolo “classico contemporaneo”. In questa fase di crescita e di consenso, aumentano quasi inevitabilmente i mezzi a sua disposizione, per questo con Virgins lo troviamo alle prese con musicisti di varie nazionalità e in grado di collaborare con Valgeir Sigurðsson, Randall Dunn e il solito Ben Frost, registrando a Reykjavik, Montreal e Seattle. Hecker negli anni ha messo in piedi un ciclo di lavorazione e trasfigurazione del suono: si tratta di un continuo passaggio da analogico a digitale, ma – dice lui – a volte anche da digitale ad analogico prima di tornare di nuovo dentro un laptop. C’è dunque sempre bisogno di nuove timbriche, per questo ora gli sviluppi più ovvi sono legati al ricorso ad altri strumenti (qui, in mezzo al resto, fiati e archi), come in passato a chitarre e macchine più o meno vintage, queste ultime parte di un dicorso sull’errore e sull’imperfezione, un altro tratto (non nuovo storicamente, per carità) della sua estetica. La forza di Tim è diventata col tempo la densità stordente e romantica delle sue stratificazioni sonore, che in Virgins è ancora la spina dorsale dell’insieme, ma lo scherzo qui è che – come in Dropped Pianos, il fratello sobrio di Ravedeath, 1972 – ogni tanto si gioca la carta dell’unplugged (nel senso di spina staccata o, nel 2013, di senza plug-in) e si fa vedere il suono nudo, che è quello che piacerebbe ai vari neo-minimalisti e neo-classici di casa Erased Tapes o di certa Type. In entrambe le versioni, quella vecchia e quella nuova (che però è ancora più vecchia), Hecker è sempre bellissimo.
Tracklist
01. Prism
02. Virginal I
03. Radiance
04. Live Room
05. Live Room Out
06. Virginal II
07. Black Refraction
08. Incense At Abu Ghraib
09. Amps, Drugs, Harmonium
10. Stigmata I
11. Stigmata II
12. Stab Variation