Timbuktu

Creato il 18 febbraio 2015 da Eva Gatti @avadesordre

A Timbuctu, nel Mali, l'arrivo della milizia jihadista sconvolge le abitudini secolari: improvvisamente è vietato giocare a pallone, cantare, fumare..


Il film di Abderrahmane Sissako è candidato gli Oscar per il miglior film straniero, dopo aver vinto un premio all'ultimo Festival di Cannes.
Timbuktu è una pellicola corale che descrive gli esiti sconvolgenti del dominio fondamentalista su un pacifico villaggio africano. Il film si apre con una sventagliata di mitra che distrugge degli idoli africani e la scena ha una valenza profondamente simbolica ed anticipatrice della vicenda narrata: i miliziani distruggeranno la cultura e il quieto vivere della città con i loro dettami che spesso vanno anche contro il buon senso: come può una pescivendola sfilettare il pesce se, in quanto donna, deve indossare i guanti?
Il divieto di cantare deve valere anche per le cerimonie religiose musulmane?
La pellicola parte con toni surreali che ricordano il racconto assurdo della guerra palestinese ne Il tempo che ci rimane di Suleiman: una certa goffaggine degli invasori fa da controcanto alla poesia di una partita di calcio giocata senza pallone.
Il film diventa poi sempre più drammatico e la ribellione non è più poeticamente fantasiosa ma crudelmente concreta nella donna che continua a cantare mentre viene frustata proprio per esser stata sorpresa a cantare.
Il finale cita quasi letteralmente la morte della Magnani in Roma città aperta e l'inseguimento iniziale della gazzella si rivela essere una tragica ellissi temporale.
Timbuktu è un film doloroso, di un'attualità sempre più incalzante, immerso nell'abbacinante luce africana con una commistione di realismo e magia: chi è la donna dal lungo strascico che non viene mai sottoposta alle angherie dei fondamentalisti? Una pazza, una strega o l'incarnazione stessa del male?


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