The protester, il manifestante, può essere l’indignato spagnolo, quello di Wall-Street, oppure uno dei tanti uomini nelle piazze arabe, quelli a rischio di essere intercettati da una pallottola sparata da uno dei fucili di regime…
La protesta assume a livello planetario un ruolo di primissimo piano, e la contestazione diventa il collante dei popoli, di generazioni, di classi sociali fino a qualche tempo prima così distanti e così difficili da amalgamare.
Da un certo punto di vista è preoccupante, se i popoli fanno così rapidamente passi di avvicinamento così imprevedibili, forse significa che la percezione generalizzata è quella di essere sul punto di varcare la soglia d’ingresso in un tunnel talmente buio da farne presagire una lunghezza senza precedenti.
Se vogliamo vederla invece dal punto di vista dell’ottimista, e voglio esserlo una buona volta, forse le difficoltà ci stanno davvero unendo, stanno ricompattando nella contestazione – pacifica e non violenta quando ciò è stato possibile – una società mondiale distratta, disunita, conflittuale e perché no anche un po’ razzista.
Forse il bisogno di aiuto causato dalla crescita delle difficoltà per un numero sempre maggiore di uomini, ci spingerà sempre di più alla contestazione, ma se questo significa che lo faremo insieme, che accanto all’uomo bianco ci sarà il nero, il musulmano come l’ebreo, il manovale come l’impiegato, il pensionato come il giovane precario, allora gli sforzi saranno serviti per preparare un mondo migliore per i nostri figli.
nanni