RECENSIONE
La provincia francese è lo sfondo a questo romanzo dalla prosa insolita. Insolita e insieme ricercata perché lo stile dell'Autore risente della sua formazione e del background culturale e giuridico. Borromee è infatti un avvocato francese che conosce bene sottigliezze e sfumature del mondo giudiziario. Non si tratta tanto di cavilli e atti giudiziari, quanto piuttosto di quel vasto campionario umano che affolla i corridoi di un Palazzo di Giustizia in Francia (come in Italia).
La storia parte con l'omicidio di una donna con modalità particolarmente efferate. Il procuratore, un magistrato particolarmente zelante, accusa dell'omicidio il marito, specie dopo aver scoperto che il matrimonio tra i due era in crisi da tempo e che l'uomo amava la cognata. Il quadro è torbido e c'è quel tocco di morbosità su cui magistrati, polizia e giornali si buttano a capofitto. Ma così non è. Perché un commissario di polizia, il ruvido Baudry e un avvocato, Dornier, presidente dell'ordine degli avvocati si rendono conto che troppi punti oscuri gravitano in una vicenda in cui in molti sono impazienti di liberarsi dell'inetto avvocato Robin.
L'ermellino di porpora è un libro di esordio e lo si avverte. Ma è un buon libro di esordio, con molte caratteristiche che fanno pensare che questo avvocato che scrive sotto pseudonimo potrà scrivere noir raffinati in futuro. L'Autore ha infatti curato solo alcuni aspetti in maniera particolare, mentre altre sfumature del romanzo sono state poco approfondite o soltanto accennate. Si tratta di scelte personali che lasciano una sensazione di incompiuto in alcuni passaggi, ma che non inficiano la bontà del romanzo, assolutamente meritevole di una lettura. Ut supra accennato, il punto di forza del romanzo è l'ambientazione giudiziaria e la descrizione della piccola, sonnolenta cittadina ove si svolge la vicenda. Gli equilibri di potere, le invidie, la sottile tensione che costituisce il confine invisibile tra i poteri che si muovono all'interno del Palazzo di Giustizia son descritti con competenza mescolate a un tocco di ironia e con molto distacco. Un atteggiamento disincantato di chi conosce bene vizi (molti) e virtù (non tante) di un microcosmo dove la ricerca della giustizia, la fama personale e il potere si rincorrono e si intrecciano.
Allo stesso modo, la capacità di Borromee nel contestualizzare la cittadina ove si svolge la vicenda è davvero sorprendente. Pochissime le descrizioni, eppure la cittadina immersa tra boschi e colline, le vie di pietra, il Palazzo di Giustizia con le sue stanze polverose sono immagini vivide che saltano agli occhi del lettore e che costituiscono un tutt'uno necessario con la vicenda. Borromee si dimostra fine conoscitore degli equilibri tra magistratura e avvocatura in più passaggi: sono queste scene e questi dialoghi a rappresentare la colonna portante di un romanzo che non ha tra i suoi protagonisti poliziotti bellocci o avvocati rampanti. I suoi characters sono persone normali, con una vita piatta e con una solitudine che non trapela se non per brevi, dolorosi lampi. Dal mite e debole avvocato Robin al presidente Dornier, un uomo solo la cui vita è scandita dalle passeggiate in bicicletta o Baudry il poliziotto avanti negli anni e in sovrappeso con una moglie bisbetica, fino al procuratore Meunier, un uomo che per stupidità e ambizione innesca una vera e propria rivolta sociale.
Ciò che spiazza e insieme conquista è lo stile. Ben diverso dalle frasi secche tipiche dei noir di stampo anglosassone, il linguaggio di Borromee è una curiosa e felice sintesi tra frasi ricche di paratassi e lunghi dialoghi. Pochi punti, molte virgole, dialoghi dal sapore vagamente retrò ma non per questo privi di autenticità. Un romanzo per cultori del giallo d'Oltralpe e per chi vuol esplorare (e gustare) nuovi stili di scrittura nel thriller .
L'AUTORE Pierre Borromée è lo pseudonimo di un avvocato quarantenne che vive e lavora nella provincia francese. L'ermellino di porpora, opera prima, è stato coronato dal prestigioso Prix du Quai des Orfèvres 2012, la cui giuria, presieduta da Christian Flaesch, direttore della polizia giudiziaria della prefettura di Parigi, è composta da poliziotti, magistrati e giornalisti. «Mi hanno chiesto come abbia fatto a descrivere con tale esattezza e realismo l?ambiente giudiziario. Semplice: è un ambiente che conosco dall?interno. Quello che racconto è un mondo con il quale mi confronto e mi scontro ogni giorno.»