25 SETTEMBRE - 2 NOVEMBRE 2014
BIBLIOTECA UMANISTICA DELL’INCORONATA
MILANO | CORSO GARIBALDI, 116
Due pittrici, due mondi poetici totalmente diversi.
Un’astrattista dal temperamento teatrale e gestuale, una figurativa dai toni
intimisti e sussurrati, per un racconto a due voci intenso, potente,
tutto giocato sulla forza del colore e della luce,
sull’energia della pennellata e sulla carica emozionale.
A fare da corollario ai dipinti, la Biblioteca quattrocentesca
all’interno della Chiesa di Santa Maria Incoronata
- nella nevralgica area milanese di corso Como-Garibaldi -
probabilmente l’unica affrescata esistente nel capoluogo lombardo,
edificata dai frati agostiniani al primo piano del vasto complesso.
curatore e organizzatore: Pietro Marchetti | tel. 338 7309755 | ptrmarchetti@gmail.com
Tina Sgrò e Cinzia Fiaschi non sono solo due donne che dipingono. Sono due artiste – donne – che lavorano con l’anima. E non si tratta di un modo di dire. Se ci riflettiamo, non è poi così scontato che tutti gli artisti (o le artiste) dipingano con l’anima. Il che non comporta necessariamente un giudizio negativo nei confronti degli altri, s’intende. C’è chi dipinge meravigliosamente con la ragione, chi fa mirabilmente della propria arte una scienza esatta. E poi c’è chi, come Tina e Cinzia, dipinge con l’anima. Dipingere con l’anima significa, per un artista, mettere dentro il lavoro tutto se stesso, significa andare a recuperare in fondo alla propria anima, giù, nelle profondità più recondite, la forza, la rabbia, la gioia, la disperazione, le sconfitte, i trionfi, i segreti inconfessabili, i più intricati grovigli emotivi e metterli lì, sulla tela, esposti, indifesi, sotto forma di luce e colore.
Ecco: luce e colore. Diversissime, apparentemente agli antipodi, Tina Sgrò e Cinzia Fiaschi si potrebbero definire entrambe in maniera completa e soddisfacente usando esclusivamente i criteri della luce e del colore. Una è convinta figurativa, l’altra una feroce astratta. Eppure luce e colore le sostanziano entrambe fino all’essenza. Il colore di Tina è modulato in tinte pastose, soffici, in cui si può avere la sensazione di affondare, mentre quello di Cinzia è nettissimo, graffiante, urlato. E – ancora – la luce di Tina è soffusa, lieve, pulviscolare, accogliente, mentre quella di Cinzia, abbacinante, ti inchioda davanti al quadro e ti chiede conto di te. E se traducessimo questi due parametri di luce e colore in musica, ci renderemmo subito conto che la musica di Tina è un sottofondo eseguito al pianoforte, una discreta colonna sonora per chiacchiere, memorie, pensieri. Mentre quella di Cinzia è un ritmo potente: un rullare di tamburi africani, ossessivo, meravigliosamente inesorabile.
Diversissime, dunque? Inconciliabili? Assolutamente no. Perché sotteso a quelle stanze dense di penombre, così come a quelle unghiate di colore, c’è la medesima passione profonda per la pittura. Perché Tina, così come Cinzia, è sostanzialmente un’istintiva. E istinto, gesto, pulsione immediata, sono lì, riconoscibili e palpitanti, sulle tele di Tina come su quelle di Cinzia. Il fare veloce, emotivo, l’urgenza dell’azione saltano all’occhio fin dal primo sguardo, e sono loro a dare la direzione delle linee di forza che sostengono sia le opere figurative della prima che i lavori astratti della seconda. E che dire di quel senso profondo dell’equilibrio?
Di quella scansione misurata e precisissima degli spazi? Sono – per entrambe - figli della medesima materia emotiva, che in un’artista si trasforma in una sequenza infinita di ambienti, quasi un unico palazzo incantato nel quale smarrirsi come in un labirinto, mentre nell’altra si fa fluire travolgente di colore.
Ma ad accomunare i lavori di Tina Sgrò a quelli di Cinzia Fiaschi, forse, più ancora di tutto questo, è la sensualità che scorre sottopelle. Un vago senso di seduzione che nei dipinti di Tina ci arriva come un sussurro, in quelli di Cinzia come un esplicito richiamo emotivo. Ecco, allora, ad illustrare le opere in mostra, alcuni estratti da due grandi storie d’amore: la passione di Fiammetta per Panfilo, raccontata da Giovanni Boccaccio nell’Elegia di Madonna Fiammetta, e quella tra l’innamorato ma irresoluto Newland Archer e la scandalosa Ellen Olenska nello struggente romanzo di Edith Wharton L’Età dell’innocenza.