Tir
Creato il 28 febbraio 2014 da Veripaccheri
TIRdi Alberto Fasulo
con Branko Završan, Lucka Pockaj, Marijan Šestak
Italia, 2013
genere, drammatico
durata, 85'
Dopo aver visto i tre film italiani in concorso viene spontaneo
chiedersi se la scrittura nel cinema nostrano conti ancora qualcosa o se
tutto dipenda solo da una questione di stile e di tecnica. In tal senso
il festival di Roma ha offerto molti spunti di riflessione, proponendo
gli antipodi di queste possibilità con gli eccessi e il parossismo
citazionistico di "Take Five" diretto da Guido Lombardi, messi a
confronto con il rigore e l'essenzialità del cosiddetto cinema del reale
a cui "I corpi estranei" di Mirko Locatelli e, soprattutto, "Tir" di
Alberto Fasulo appartengono di diritto.
Il lavoro di Fasulo
rappresenta un esempio paradigmatico perché individua la tendenza delle
nuove generazione di registi italiani di inserire pratiche ed estetiche
del documentario nel cinema di finzione. "Tir" è infatti il frutto di
una lunga e accurata ricerca sul campo, poi confluita in un film in cui
la supremazia della parola e della sceneggiatura cedono il passo al
tessuto visivo fatto di immagini rubate al quotidiano, a una narrazione e
a un montaggio frammentato, a cui è devoluto il compito di produrre il
senso dell'opera. "Tir" ci porta a bordo di un autotreno commerciale e,
lungo le strade di un paesaggio scarnificato e anonimo, conosciamo le
vicissitudini di Branko, camionista slavo spinto in Italia dalla
possibilità di guadagnare un salario che gli consenta di non dover
vivere alla giornata. Durante i vari trasferimenti conosciamo qualcosa
di lui e della sua famiglia attraverso le telefonate con la moglie,
ansiosa di riaverlo a casa. Il resto, invece, scandito dalle varie tappe
delle consegne a domicilio appartiene alla routine di un lavoro che
logora e aliena.
Presentato con l'etichetta di documentario, "Tir" è
in realtà un film a soggetto interpretato da un attore professionista
(Branko Završan), che racconta una storia che, pur derivata da
consapevolezze realmente vissute, è prima di tutto la conseguenza di una
messinscena del reale elaborata prima di iniziare a girare. Ma questo
poco importa perché sul versante della credibilità "Tir" non fatica a
competere con la "vita in diretta" registrata nei documentari. Il punto
risiede invece nel constatare in quale misura il film riesca ad
imprimersi nella memoria delle nostre coscienze. Girato con l'intento di
rifuggire qualsiasi accenno di retorica, l'opera di Fasulo si regge
sulla capacità di restituire la dimensione interiore del protagonista
partendo dalla condivisione della sua esperienza, e dalla ricognizione
dell'habitat naturale in cui essa si manifesta. In questo modo
la macchina da presa si annulla per fare posto allo spettatore,
trasformato in un compagno di viaggio invisibile e discreto, attraverso
piani fissi ravvicinatissimi effettuati all'interno del camion.
Il
problema di "Tir" risiede in una drammaturgia che, lasciando fuori
campo lo strappo e le lacerazioni di una scelta esistenziale difficile
(da una telefonata apprendiamo che Branko è un ex insegnante costretto a
lasciare un lavoro amato ma scarsamente remunerativo ), sceglie di
affidarsi a sottili scarti emozionali e a dettagli apparentemente
risibili, eppure forieri di impennnate emotive come la felicità
conseguente a una doccia effettuata dopo cinque giorni di abluzioni
parziali, o, al contrario, la freddezza derivata da rapporti umani
spersonalizzati come quelli di Branko con i propri referenti lavorativi,
non a caso restituiti da immagini incapaci di contenerne l'intera
figura. Se la dignità di un uomo costretto a sacrificare le proprie
ambizioni per un bene superiore è restituita con efficace autenticità, a
non tornare è un'urgenza che appare troppo debole rispetto alla qualità
dell'impianto formale. E' come se Fasulo per tenere fede alla promessa
d'autenticità che sta alla base del suo cinema si dimenticasse di
fornirgli un'anima in grado di bilanciarne lo sguardo fenomenologico. Se
"Take Five" nella forzatura degli snodi narrativi annullava la forza
della sua spettacolarità, "Tir" non è da meno quando ammorbidendo slanci
e caratterizzazione si avvicina ad una neutralità che non incide,
ribadendo la necessità di ripartire da un cinema scritto prima che
filmato.
(
pubblicato su ondacinema.it)
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