La sua prosa, con una certa vena mainstream, possiede la stessa qualità di un Thomas Love Peacock o di un Lovecraft.
Il Tito di Gormenghast si può definire un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili. Un groviglio dall’alchimia spettacolare che da forma a un’immagine del mondo e impone una lettura multipla…
Insomma, un libro con la L maiuscola. Una sorta di piccolo mondo che, come scrive Anthony Burgess, ha assorbito la nostra cultura e lì si è arrestato rifiutando di muoversi oltre in quanto “trova in se stesso forza vitale e giustificazione, e in sé si isola”.
Mervyn Peake, Tito di Gormenghast, traduzione di Anna Ravano, Gli Adelphi, Adelphi, gennaio 2014.