Questo amore come ha fatto a venirci via dalle carni? Come ha fatto a ripulirsi la bocca di tutte le lettere che ci siamo scambiate per anni? Come ha fatto a perdersi nel mare del Nord, a diluirsi, a prosciugarsi?
Ti ritrovo per caso nella casella di posta, ritrovo te, e me, e due nomi puntati di uomini meravigliosi e incapaci, mentre cercavo una vecchia mail in cui c’era un quadro di Max Ernst di cui non ricordo il titolo, che vorrei vedere di nuovo, dal vivo di nuovo, perché forse è a Basilea e a Basilea non ci sono mai stata e la Svizzera è da una settimana che mi capita e mi conquista con le sue balene e i pranzi di famiglia e i capelli imbalsamati nelle forbici, e quando ti ritrovo per caso mi apri un buco in gola.
Ritrovo la tua mail che mi dice che sei stata al bowling a giocare e hai fatto strike al primo tiro e cilecca al secondo perché poco prima di tirare, quella seconda volta, è partita love will tear us apart, canzone che lui ti aveva fatto sentire qualche sera prima e la fortuita coincidenza ti scompagina i muscoli e la palla cade nel corridoio laterale, rotolando risolutamente verso il mancato bersaglio.
Allora una carta velina di me si stacca dal mio corpo in questo primo giugno duemilatredici e diventa un fantasma scuro nell’inverno duemilanove-duemiladieci, penso a bigmouth strikes again che parte proprio mentre io e gloria mangiamo le fettine di salame e le olive in un pub a san lorenzo e mi va la roba di traverso se penso che quella canzone mi era già risalita qualche giorno prima in questo posto, oppure penso a una notte che per poco non ci chiudevano in metropolitana senza sapere poi come tornare a casa e senza avere voglia di tornare a casa e parte dalle casse nothing compares to you e mi fa da imprinting così tutte le volte che la ascolto ancora penso al freddo bastardo di quell’inverno e al mio non sapere andare a tempo sulle sue ginocchia.
Delle altre cose che penso è quanto mi faceva bene scriverti, che mi sentivo più viva anche se pensavo di annoiarti con le mie cose di tutti i giorni mentre mi piaceva moltissimo leggere le tue. Quando mi arrivava una lettera lunga pensavo che bello, speriamo siano buone notizie. Tu anche le cose più terribili le raccontavi con una grazia discreta che non sapevi amare né vedere e io mi portavo le mani alla bocca, come fai?, ti dicevo, e ti volevo abbracciare e non potevo.
Quel quadro di Max Ernst non l’ho trovato, non me lo ricordo, adesso mi viene pure il dubbio che non fosse nemmeno di Max Ernst. C’era una giungla fitta, animali nascosti nei colori degli alberi, nei cespugli, nel cielo, un’esplosione di blu e di verdi, un dipinto grandissimo, talmente pieno di energia da fare tremare i polsi, da farti ridere, da farti scoppiare la pancia di calci. Un titolo ironico, il sentimento del contrasto emerso postumo, una cosa come un momento di calma, era in francese, mi pare, non mi ricordo più.
Oggi mentre finivo il saggio sul pensiero narrativo è venuto fuori per caso che c’è una mostra su Ernst a Basilea. L’ultima volta che mi sono innamorata è stato lunedì scorso, di un artista ticinese esposto a Milano. Si chiama Giona Bernardi, ci ha messo due anni a dipingere un quadro enorme pieno di storie nella pancia di una balena. Io avrei voluto sedermi e cominciare dalla coda e smettere solo quando sarei arrivata in fondo agli occhi. Anch’io ho una serie di pranzi di famiglia nella testa dove poi la gente che mi porto nel sangue mi prende in disparte e mi dice coraggio maria, tra poco viene la primavera e potrai fare lunghe passeggiate. Anch’io ho una mostra di paure che mi sfila sottopelle, mi invita a temere, mi alleggerisce il passo finché non scompare e non mi accorda il permesso di esistere, ma Giona ha ragione, non c’è motivo di avere paura, anche se le cose che temi dovessero succedere, non c’è motivo di averne paura.
Il molto disordine che sto coltivando, la spinta all’anarchia, la sottoscrizione di una nuova libertà e quest’estate che non vuole arrivare rinnovano in gruppo le mie prospettive, ho ragione di credere che possa cambiare qualcosa, stavolta che non sono sola, e tu che mi manchi e non ti scrivo da prima che mi laureassi e non so se alla fine hai trovato un lavoro in Svezia e ho voglia di vederti presto anche se forse non ti vedrò mai più, tu, questo post è per me, ma è da te che viene.