To Rome with Love: Allen e l'Italia da cartolina (sbiadita)

Creato il 18 maggio 2012 da Pianosequenza

To Rome with Love (To Rome with Love)
Woody Allen, 2012 (Italia, Spagna, USA), 111'
uscita italiana: 20 aprile 2012
voto su C.C.
Un vigile capitolino (Zampa perdonali perché non sanno quello che fanno) è pronto a raccontarci dal suo podio quattro storie ambientate in una Roma da cartolina (per turisti americani). C'è Alec Balwin che fa da cicerone tra i dilemmi sentimentali dell'aspirante architetto Jesse Eisenberg, diviso in un episodio quasi rohmeriano tra l'angelica fidanzata Greta Gerwig e la sua affascinante nemesi Ellen Page; c'è Woody Allen insoddisfatto pensionato che tenta di rovinare l'idillio tra la figlia Alison Pill e il compagno Flavio Parenti con le sue ambizioni da impresario; c'è la coppia di sposini immacolati (Alessandro Tiberi-Alessandra Mastronardi) che vacilla di fronte alle tentazioni della Capitale (incarnate da Penelope Cruz e dal “sex symbol !” Antonio Albanese); infine c'è l'eterno Roberto Benigni, pronto a scoprire come un'inspiegabile e subitanea notorietà possa trasformarsi in incubo dorato.
Il consiglio, spassionato, che viene voglia di dare a tutti gli adoranti seguaci del culto alleniano è quello di stare a debita distanza da To Rome with Love, per il loro bene. Pur temprati dalle numerose produzioni mediocri intercalate tra i capolavori memorabili del genio newyorkese, difficilmente potrebbero reggere questo impasto di cliché e comparsate (ancora più lampante agli occhi di noi italiani), in cui le poche risate annegano in un mare magnum di luoghi comuni. Tra una canotta bianca sporca di sugo e una Vespa che spunta in ogni viale, le storie si dipanano con poca convinzione, quasi fossero il compitino del primo anno di uno studente di sceneggiatura – ammesso che esista qualcosa di simile. Oltre ad alcune, rare, idee brillanti, l'unica trama di un qualche interesse è quella nobilitata dal terzetto Eisenberg-Page-Gerwig: sebbene poco originale si mantiene infatti a sufficiente distanza dalla demagogia che inonda (per restare in tema) il resto del film; persino Benigni sembra ridotto a caricatura di se stesso, imbrigliato in una vicenda con pochi spunti e quindi lasciato zompettare, nel finale, quasi come risarcimento per aver tenuto a freno per due ore la sua proverbiale energia.
L'impressione è che Allen abbia trattato questo film con la stessa superficialità con la quale i suoi connazionali spesso vivono i soggiorni nel Belpaese, accontentandosi di vedere la realtà italiana filtrata da un diabolico prisma che ne annulla ogni sfumatura. Per l'amore che gli dobbiamo dopo anni di gioie, faremo finta di nulla. Da dimenticare.

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