Nella cornice del lussuoso Hotel Parco dei Principi, presso i Parioli, venerdì scorso 13 aprile si è svolta la conferenza stampa dell’anteprima mondiale di To Rome with Love, il nuovo film di Woody Allen ambientato nella nostra capitale. Presenti alla conferenza erano l’amministratore delegato di Medusa, società produttrice del film, Giampaolo Letta, il critico cinematografico Valerio Magrelli nelle vesti del moderatore, Woody Allen e gli attori Alec Baldwin, Penelope Cruz, Jesse Eisenberg e Roberto Benigni. Seduti nelle prime file, invece, c’erano gli attori italiani del cast Alessandro Tiberi, Alessandra Mastronardi, Flavio Parenti e Corrado Fortuna. Nonostante il concentrato di star planetarie, il grande mattatore è stato senza ombra di dubbio il nostro Benigni, che si è lanciato in un paio di interventi molto divertenti, rendendo sicuramente ancora più piacevole l’atmosfera dell’occasione.
La prima domanda è per Roberto Benigni. Quanto ha giudicato vera la sua parte e qual è il rapporto che ha con l’essere famoso in pubblico, condizione nella quale il suo personaggio si ritrova d’un tratto inconsapevolmente?Grazie! Dunque, è una domanda bellissima. Io ancora non ho visto il film, ma l’ho letto. Quando il signor Allen mi ha mandato la sceneggiatura, è arrivata una bellissima signora che mi ha detto: “ legga in dieci minuti questa cosa e me la restituisca. Io non le ho dato niente!”. È stata una cosa straordinaria. Mi permetto di dire che noi siamo qua come se niente fosse, ma abbiamo alla mia destra una delle persone per cui il nostro secolo verrà ricordato (Woody Allen, ndr). Sono ancora emozionato, pensate che fra cento anni, come Allen ha fatto in Midnight in Paris con Matisse o Fitzgerald, noi potremmo mettere lui stesso in un film. Ciò che mi è capitato è una di quelle occasioni in cui si dice subito “Sì!”, come quando capita di incontrare una cosa bellissima. Avere Woody Allen qua è una cosa rara, come un eclissi di luna o una nevicata in agosto. E, in tutto ciò, devo dire che mi sono dimenticato la domanda! Ah sì, il fatto dell’essere famoso … intanto ho accettato subito di fare il film, anche perché mi piaceva il nome del mio personaggio, Leopoldo Pisanello: è un nome talmente bello che non si poteva dire di no. E per il cast, naturalmente. In fondo credo che Mr. Allen mi abbia scelto anche per la mia bellezza. A parte la signora Cruz e la signora Page, infatti, in confronto al resto degli attori penso di essere il più bello. Senza dubbio. Mi perdoneranno Mr. Eisenberg e Mr. Baldwin, ma fisicamente sono di gran lunga il più bello del set. Arrivando a rispondere alla sua domanda, comunque, la notorietà è un tema che riguarda tutti e adesso chiunque desidera essere famoso. Anche Mr. Eisenberg ne sa qualcosa con Facebook e la rete. Ma quello che accade nel film ha la grazia che il signor Allen riesce a donare alle sue opere, quel tocco che solo lui possiede capace di rendere tutto al contempo favolistico e reale. Tanto è vero che alla fine delle riprese accadevano le stesse cose che accadevano nel film. Alla Garbatella, addirittura, è passata un’ambulanza con la sirena accesa, mi ha visto per strada, ha frenato e ha fatto marcia indietro. I due dell’ambulanza sono scesi e hanno fatto un paio di foto insieme a me. A quel punto sono risaliti, dicendomi: “Ciao Benigni mortacci tua, dobbiamo andare a prendere un malato”. E infatti Mr. Allen ha detto: “Only in Italy”, che sarebbe potuto essere anche un altro titolo del film. Grazie, risponderò molto più brevemente alla prossima domanda.
Woody Allen, questo suo film è sicuramente un omaggio a Roma, però è anche un’apparente dichiarazione d’amore al cinema italiano, e di Fellini in particolare. C’è in To Rome with Love una citazione o un riferimento a Lo sceicco bianco?
Non che io sappia o che ne sia consapevole. Sono cresciuto con il cinema italiano, sono stato e sono un grandissimo ammiratore della produzione cinematografica di questo paese. Quindi, tutti i riferimenti al cinema italiano che magari può sembrare di cogliere nel mio film, emergono perché sicuramente sono cose che ho assorbito nel corso del tempo e della mia formazione cinematografica. Ma tutto ciò non è qualcosa di cui sono cosciente. D’altra parte, è impossibile, per chi è cresciuto in quegli anni come me, non essere stato influenzato dal cinema italiano che veniva proiettato a New York.
Che immagine ha lei dell’Italia o, almeno, che immagine dell’Italia ha raccontato in questo film? A parte il cinema italiano, quanto è stato influenzato dalla sua visione del nostro paese?
Tutti gli americani provano un sentimento di enorme affetto nei confronti dell’Italia. E lo ritengono un paese che nel corso della sua storia ha dato un contributo assai rilevante alla cultura mondiale. Vedo l’Italia come un luogo molto alla mano dove poter vivere e in cui veramente la gente si gode la vita. In un certo senso, il vostro è un paese che rappresenta quanto esiste di positivo nella vita. Certo, se facessi un film in Svezia, probabilmente sarebbe permeato da una psicologia e da alcuni elementi completamente differenti. Ovviamente tutti gli americani amano l’Italia e hanno imparato a conoscerla soprattutto attraverso il cinema e i film, ma anche attraverso gli italo-americani, che nel nostro paese sono dei personaggi abbastanza coloriti e estremamente calorosi. Persone positive, in qualche modo larger than life e per le quali la famiglia è molto importante.
Il suo film è molto divertente, lei riesce sempre a dare una leggerezza a tutto ciò che racconta. Però l’Italia che si vede sullo schermo non è quella che ci ha appena descritto. In To Rome with Love si vede un’Italia sostanzialmente superficiale, piena di escort, dove i giornalisti parlano solo di cose futili e in cui gli italiani sembrano praticamente persone inesistenti. Lei sembra raccontare bene tutto ciò. Ma allora questa Italia come la vede davvero? Forse si è lasciato influenzare dalla visione dell’Italia berlusconiana arrivata all’estero in questi ultimi anni?
Quando vado a fare un film in un luogo, in una città, in realtà quello che cerco di dare nei miei film è semplicemente una mia personalissima impressione di questo luogo, di quelle cose che mi colpiscono come drammatiche, come comiche o che mi sembrano divertenti da raccontare. Non ho certo una approfondita conoscenza di tutto quello che può essere la politica e la cultura italiane. Quindi, quello che ho tentato di fare è realizzare un film ambientato a Roma che potesse essere di intrattenimento e divertimento per coloro che lo andranno a vedere. Non ne so abbastanza per poter insegnare alcunché ad alcuno, né, come appena detto, ho una conoscenza approfondita della cultura italiana.
Alec Baldwin, Penelope Cruz e Jesse Eisenberg, qual è stato il vostro rapporto con Woody Allen? Come siete stati coinvolti nel progetto del film?
Alec Baldwin: Vorrei soltanto dire che dall’inizio c’è stato un equivoco. Quando ho letto il copione, ho pensato subito che il mio ruolo fosse quello di un uomo che in una stanza d’albergo vede aprirsi la porta ed entrare Penelope Cruz che si offre per una giornata d’amore. Di conseguenza, ho accettato immediatamente di partecipare al film. Poi sono arrivato sul set e mi sono reso contro dell’errore che avevo commesso: è questa in buona sostanza la storia del mio coinvolgimento nel film.
Penelope Cruz: Per me è stata una bellissima esperienza lavorare una seconda volta con Woody (la prima collaborazione è stata quella per “Vicky Cristina Barcelona”, che è valsa alla Cruz l’Oscar come migliore attrice non protagonista, ndr), perché lo adoro. Lui ha una personalità molto peculiare ed è ogni giorno, sempre una sorpresa: la sua intelligenza è superiore a quella degli altri, così come il suo incredibile senso dell’umorismo. È davvero una persona molto importante per me, per tanti motivi. Mi piace stare vicino a lui, scrutarlo aspettando il momento in cui dirà una nuova genialità che mi voglio assolutamente annotare per non dimenticarla. In generale, la sensazione che hai con Woody è che è sempre troppo poco il tempo che riesci a trascorrere in sua compagnia. Lui mi ha dato questo personaggio che è davvero un gioiello: mi sono divertita tantissimo a prepararlo e interpretarlo.
Jesse Eisenberg: è stato veramente un grande onore avere la possibilità di lavorare insieme a Woody Allen. Per me, oltretutto, lui è un raffinatissimo intrattenitore, nonché un sapiente regista, sceneggiatore e attore. Quindi, avere la possibilità di stare sul set e di osservarlo mentre lavora è stato veramente un enorme privilegio. È molto gentile e aperto con i suoi attori: è talmente abituato a realizzare film, che riesce a comprendere quello che i suoi attori stanno vivendo a livello di esperienza ed emozioni, e ne tiene conto quando sta girando una scena, che sia comica o drammatica.
Allen, sono trent’anni che viaggia alla media di un film all’anno. Fare film per lei è sempre solo una necessità artistica o a volte anche una forma di terapia psicoanalitica?
Devo dire che fare un film all’anno per me funge come distrazione, perché questo ovviamente mi consente di essere ossessionato, completamente preso, da problemi che sono in grado di risolvere o che, in caso contrario, non hanno poi comunque una ripercussione così negativa. Al massimo si può fare un film brutto, ma questo in fondo non è la cosa peggiore al mondo che possa capitare. Essere impegnato in un film mi consente di distrarmi dal resto e quindi di non rimanere lì a riflettere su quanto siano tremendi i problemi della vita, che io non sono in grado di risolvere. Fare un film, insomma, fondamentalmente mi impedisce di stare lì a pensare a quanto sia brutta la vita.
In questi ultimi diciassette anni, noi italiani abbiamo citato spessissimo il suo Il dittatore dello stato libero di Bananas come metafora della situazione politica nazionale. Detto ciò – magari in questo Benigni vorrà interagire con Mr. Allen – il personaggio di Leopoldo Pisanello è uno che, dal momento in cui arriva la celebrità, è come se vivesse a sua insaputa. Mi sembra che la proiezione di questo film cada benissimo in questo specifico periodo storico italiano.
Woody Allen: Se così è, devo dire che si è trattato di una felice casualità. Quando ho scritto il film, ho pensato che sarebbe stato divertente fare interpretare a Roberto il ruolo di un uomo comune che all’improvviso si trova investito da una grande notorietà: l’ho semplicemente trovata una idea buffa e divertente. Se poi questa idea rispecchia al contempo anche quello che in Italia è lo spirito dei tempi, allora mi è andata bene. Sono stato fortunato.
Roberto Benigni: Capisco la domanda. Alla luce dei fatti di oggi, se uno presenta un soggetto di una persona che diventa famosa senza nessun merito, con macchine e donne a sua disposizione, a prima vista sembra la storia di Renzo Bossi. Quando è stato girato il film, si trattava dell’Italia che ha descritto il signor Allen, in quanto c’era l’ex presidente del Consiglio, c’erano le escort, le feste, c’era ancora Umberto Bossi, il sole. Adesso piove, ci sono gli esodati, c’è Monti: insomma è cambiata molto la situazione, ecco. Oltre a Il dittatore dello stato libero di Bananas, adesso si potrebbe citare Prendi i soldi e scappa. Anzi senza “scappa”, “prendi i soldi” e basta! Ci tengo comunque anche io a dire che ho una grande ammirazione per Woody Allen, l’unico ad essere in grado di unire Bergman e Groucho Marx: pensando a lui si potrebbe parlare di Ingmar Marx o Grougho Bergman. Adesso non vorrei fare lo spiritoso, perché fare lo spiritoso davanti a Woody Allen è come suonare il piano davanti a Mozart o cantare Vincerò vicino a Pavarotti. Non oso quindi andare avanti. Però, diciamo che guardandolo sul set rimanevo affascinato. Ogni volta che metteva la macchina da presa in una determinata posizione, mi dicevo che sarebbe potuta essere solo lì e in nessun altro posto. E in più è straordinaria la sua direzione degli attori, che avviene come fanno i grandi direttori d’orchestra, con gli occhi chiusi. Poi improvvisamente li apre e fa un gesto. Questo è un grande talento, un grande dono.
Pubblicato su Taxi Drivers