TO THE WONDER (Usa 2012)
To the wonder è un film di Terrence Malick. E la recensione potrebbe anche finire qui, tutto sommato. Perché un’opera di Malick è come un romanzo di Philip Roth, un disco di Bruce Springsteen, un film di Woody Allen: sai già cosa ti troverai di fronte. E nonostante questo – o proprio per questo – non potrai fare a meno di esserne attratto, a priori. Con la differenza, rispetto agli altri nomi appena citati, che un film di Malick è raro e prezioso come un Gronchi rosa. O almeno così era in passato, dal momento che il regista americano, negli ultimi tempi, sembra decisamente essersi dato una mossa.
Con risultati, per quanto mi riguarda, non del tutto soddisfacenti: To the wonder è forse il film meno memorabile del regista, quello più compiaciuto, quasi autistico nella sua totale autoreferenzialità. Malick, ormai è evidente, i film li fa per se stesso più che per la gente, perseverando nella sua ricerca di un cinema completamente estraneo alla contemporaneità, alle mode, agli interessi del pubblico. L’unico punto di contatto di Malick con il cinema e le tendenze di oggi è l’utilizzo, in ogni sua opera, di attori famosi e à la page (Colin Farrell in The New World, Brad Pitt in The Tree of Life e adesso Ben Affleck, affiancato dalla meravigliosa Olga Kurylenko). Ma per il resto – quell’abitudine di “pedinare” i personaggi alle loro spalle, quella voice-over così insistente, quelle musiche così enfatiche ed evocative – il cinema di Malick è assolutamente fuori dal tempo e da ogni luogo, né americano né europeo, né commerciale né d’avanguardia. Unico e inimitabile, in poche parole.
Non c’è trama, in questo film (o, se c’è, potrebbe essere riassunta in tre parole: coppia in crisi), non ci sono veri e propri dialoghi (solo spezzoni più o meno significativi; cfr. incomunicabilità), i personaggi non subiscono alcuna evoluzione interiore: To the Wonder è un’opera composta di immagini (splendide, come sempre accade con Malick), riflessioni metafisiche, situazioni e sentimenti solo suggeriti, mai resi espliciti. Niente di nuovo, insomma, per i parametri malickiani, ma con la differenza che qui manca completamente un pretesto, un aggancio narrativo in grado di tenere insieme tutti questi (peraltro molto suggestivi) elementi: nella Sottile linea rossa si trattava della guerra, in The New World della “nascita di una nazione” (quella americana, ovviamente), in The Tree of Life addirittura, in qualche modo, dell’evoluzione della vita sulla Terra. To the Wonder, invece, il cui titolo è un riferimento a Mont-Saint-Michel (la Marveille), dove sono state girate alcune sequenze, presenta semplicemente la rapida dissoluzione di una coppia, cui fa da contraltare la drammatica situazione esistenziale di un prete cattolico (interpretato da Javier Bardem) in crisi di fede.
Quindi posso anche capire, pur non condividendoli, i fischi che hanno accompagnato la proiezione di To the Wonder all’ultimo Festival di Venezia: come un piatto di cucina molecolare o un’opera d’arte contemporanea, Malick è destinato a piacere a pochi. Pochi fortunati, ovviamente.
Alberto Gallo