To the Wonder: Terrence Malick trascende il cinema

Creato il 04 luglio 2013 da Pianosequenza

To the Wonder
(To the Wonder)
Terrence Malick, 2012 (USA), 112’
uscita italiana: 4 luglio 2013

voto su C.C.

Neil (Ben Affleck) e Marina (Olga Kurylenko) si godono il loro idillio parigino finché l’uomo, un americano in cerca di se stesso, non è costretto a ritornare al polveroso lavoro nella natia Oklahoma. L’amore ne risente, spegnendosi giorno dopo giorno, con l’ingresso in scena di una ex (Rachel McAdams) e di un prete in crisi mistica (Javier Bardem).

Voci non confermate sostengono che Ben Affleck di fronte al final cut di To The Wonder abbia affermato che il nuovo film di Terrence Malick “fa sembrare The Tree of Life semplice quanto Trasformers”. Tutti quelli che, dopo aver assistito all’epopea della coppia Pitt-Chastain, avevano lasciato la sala quantomeno accigliati possono solo tremare di fronte a questa dichiarazione, tanto paradossale quanto condivisibile. Con To the Wonder il regista americano ha infatti deciso di liberarsi definitivamente da ogni precetto della tradizionale narrativa cinematografica, rinunciando alla trama, ai personaggi e più in generale a tutti i capisaldi che consentono di distinguere un “film” da un altro esperimento audiovisivo.
Come una installazione da museo d’arte contemporanea, l’ultima opera di Malick può essere vista entrando in sala in qualsiasi momento, ed uscendone quando si crede di averne abbastanza: si tratta di un flusso di immagini ipnotiche (meravigliosa fotografia di Emmanuel Lubezki) punteggiato da monologhi perennemente sussurrati e mal comprensibili, un continuo volteggiare di camera e personaggi, ignari circa lo sviluppo della storia almeno quanto l’incuriosito spettatore. Basti pensare che molti dei dettagli della trama (nomi dei personaggi inclusi) possono essere conosciuti solo leggendone la cartella stampa e che buona parte di un cast stellare (Chastain, Weisz, Pepper, Sheen) ha visto il suo ruolo scomparire dopo l’uscita della pellicola dalla sala di montaggio.
L’opera di Malick ha comunque qualcosa di magico, perché in grado di rendere ugualmente sublimi (o meglio meravigliose, in accordo col titolo) Mont Sant-Michel e le paludi inquinate dell’entroterra americano; l’occhio del cineasta-filosofo sembra in grado di cogliere la bellezza ovunque ed in un modo così puro e primordiale da risultare travolgente: una esperienza che merita, in ogni caso, di essere apprezzata. 
Mentre The Tree of Life manteneva una sua coerenza narrativa, barocca ma profondamente affascinante ed in qualche modo “compiuta”, To the Wonder lascia esterrefatti per l’assenza, quasi provocatoria, di un qualsiasi intento; questo influisce negativamente anche sulle performance degli attori, divenuti eteree caricature, fantasmi che si aggirano per scenari stupendi: mentre le interpreti femminili si salvano in un mare di leggiadre piroette, Affleck, sistematicamente mutilato da inquadrature bizzarre, rischia la peggior figura di tutta la sua carriera al di qua della cinepresa.
Col passare dei minuti si fa sempre più forte l’impressione che Malick abbia ceduto, ormai incondizionatamente, alla tentazione di sottrarre tutto il “superfluo” dalla sua opera, finendo però col privare le immagini di quell’anima, di quel senso comune, che rappresentano l’identità di un film. Ciò che resta, per quanto degno di meraviglia, è più adatto alla sala video di un museo piuttosto pretenzioso.


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