di Liliana Adamo
Ad Anna, perché tu possa essere ancora con me…
Come può essere vero?
La notte scorsa ho sognato San Pedro
Come se non fossi mai partita…
Tropicale è la brezza dell’isola
Tutta la natura è selvaggia e libera
Questo è il luogo dove desidero vivere
La Isla Bonita …
La notte scorsa ho sognato San Pedro
Sembra tutto come ieri, non così lontano…
E se le parole di Madonna non si riferiscono a Saona o a Bayahibe, ma ad Ambergris Caye, la più famosa delle isole coralline del Belize, il refrain del “La Isla Bonita” mi si è impresso nella testa per due settimane…non solo, durante gli ultimi giorni della mia permanenza, canticchiavo anche il vecchio brano di Ivano Fossati: “….Oh mamaçita Panama dov’è…, ora che stiamo in mare, sull’orizzonte ottico non c’è, si dovrà pur vedere…di andare ai cocktails con la pistola non ne posso più
piña colada o coca cola
non ne posso più
di trafficanti e rifugiati
ne ho già piena la vita
oh maledetta traversata
non sarà mai finita…
I Caraibi mi apparivano pieni di reminiscenze. E le mie erano proprio spicciole, terra terra…Ora che sono tornata, non più ammaliata da quella variopinta tavolozza naif, da dove inizio? Dagli antichi Tainos, dai pirati, da Cristoforo Colombo? Dalla natura straordinaria, dalla brezza degli alisei che increspa il mare? Ma no, attacco col clima, che ha rappresentato l’elemento più temuto, l’imprevedibile meteo delle mie vacanze. Certo, non mi aspettavo la replica d’Isaac (28 agosto 2012), l’ultimo uragano abbattutosi sulle isole caraibiche (Repubblica Domenicana, inclusa), però per una come me, avvezza alle secche, riarse temperature del Mar Rosso egiziano, pioggia e clima umido potevano rivelarsi un autentico shock…A conti fatti e giusto per avere un’idea di ciò che vuol dire condizione meteorologica in stile caraibico, vorrei che tu immaginassi una coppia in villeggiatura.
Lei e lui arrivano in aeroporto, mentre li attende uno sfavillante cabriolet a noleggio. Lei è seduta sul sedile anteriore, mentre lui è intento a sistemare le valigie nel bagagliaio. Aperta la decappottabile, la donna esclama: “Che sole meraviglioso!”. E lui, a poca distanza: “Ma qui piove!”. Storiella che si racconta ai turisti? Neanche per sogno, a noi è successo di peggio, l’aereo, un boeing lungo raggio con l’interno dell’abitacolo così ripartito, due posti ai lati e cinque centrali, rasenta il suolo per l’atterraggio e mentre continua la sua corsa lungo la pista, mio marito, guardando a destra verso i finestrini dei passeggeri seduti sulla fila parallela alla nostra, è attratto da un imperioso scroscio di pioggia che si abbatte sull’estremità dell’aereo: “Piove!”. Seduta accanto a lui, guardo in alto verso il cielo puntellato di stelle, levigato e terso come seta, sgranando gli occhi attraverso l’oblò: “Ma che dici, non c’è neanche una goccia d’acqua!”. Da anni studio le anomalie legate agli effetti del global warming, ma ammetto la mia sorpresa per una tale, repentina fenomenologia climatica…Bienvenidos al Caribe, señores!
Il genius loci, o meglio, il Lare di Hispaniola è il benvenuto riservatomi il mattino successivo ai Caraibi: il suono, lo strepitio degli uccelli tropicali che ti accoglie appena sveglia e ti lascia tracce indelebili fino al tramonto. Il Lare, perché questi è il Genio di un territorio posseduto dall’uomo e che l’uomo attraversa, entità naturale e soprannaturale legata a un luogo. Lo so, è la solita interpretazione personale ma bisogna per forza di cose essere stata lì per comprenderne l’esuberanza, la bellezza. Mi è capitato, in certe notti durante l’estate scorsa, d’aver catturato il canto d’amore degli usignoli attenuare il silenzio della campagna umbra; malgrado ciò, il suono sprigionato da un’innumerevole varietà d’uccelli esotici, riesce a possederti con una forza ipnotica e ancestrale.
Tra pini, cipressi, mogani, palissandri, banani, manghi, piante d’ananas, è un universo primigenio, animato da fregate, spatole rosate, fetonti dalla coda bianca, fenicotteri e specie endemiche uniche al mondo, il cuculo lucertino, lo smeraldo di Hispaniola, il barbagianni cenerino e le anatre selvatiche (fotografate all’interno del parco, nel nostro hotel). Lungo le spiagge, intravedi gli aironi, le garzette e poi ibis, ralli, pellicani, gli assidui, maestosi gabbiani.
Se hai voglia d’esplorare l’interno e immergerti nelle foreste delle Indie Occidentali, puoi incontrare – secondo la stagione e l’habitat – uccelli canori originari del Nord America e molte varietà locali, trogoni di Hispaniola, picchi, parrocchetti, pappagalli. Il curioso uccello delle palme, che mette insieme enormi nidi a mo’ d’appartamenti, dove ogni singolo componente della nutrita comunità, occupa una “camera”, è tra le specie predilette, eletto a simbolo della Repubblica Domenicana.
Per quanto mi riguarda, vorrei accennare al rapporto “complicato” iniziato con il “vecchio” pellicano stanziale. L’abbiamo visto riposarsi su in cima di un allampanato palmizio nel bel mezzo della prima “ricognizione” lungo la spiaggia (tra le più belle mai viste); armata di pazienza e macchina fotografica l’ho tallonato per ben due settimane, sfidando il caldo tropicale, ma lui, il veterano, scaltro e apparentemente svogliato, ha continuato a farsi beffe di me, levandosi improvvisamente e defilandosi, zigzagando tra i bagnanti. Risultato? Nonostante i miei sforzi, sono mai riuscita a immortalarlo…che rammarico!
La Repubblica Dominicana, è un enorme affresco tropicale dai toni caldi e accesi, dove ti avvolgono gli aromi del caffè/cioccolato/tabacco delle sue piantagioni e la gente che vive nelle strade si muove esattamente come in uno dei quadri del suo meraviglioso folklore. Le donne animano i mercati, i vecchi giocano a domino seduti nei patii delle case in legno colorato, i fidanzatini passeggiano mano nella mano tra bambini che si rincorrono, chiassosi e spensierati. Ovunque posi lo sguardo, i paesaggi sono perfetti “set” da dépliant turistici.
Jared Diamond annota nel suo saggio: …Non è facile capire perché una linea di frontiera lunga 193 chilometri divida in due l’isola caraibica di Hispaniola, separando la Repubblica Domenicana da Haiti. Visto dall’alto il confine sembra una ferita, una linea tracciata in modo arbitrario che divide nettamente due mondi: a est (la parte domenicana), verdi boschi e prati, a ovest (la parte haitiana) terra brulla e riarsa. A terra, la sensazione è la stessa: fermandosi lungo un punto qualsiasi del confine e volgendosi a oriente si vedono alberi a perdita d’occhio, mentre a occidente si estendono solo campi ingialliti. Questo contrasto è rappresentativo delle profonde differenze tra i due paesi. In origine tutta l’isola era ricoperta di foreste: i primi europei che vi sbarcarono si trovarono di fronte a boschi rigogliosi, ricchi di essenze pregiate. Oggi non è più così, particolarmente nella parte haitiana, dove si trovano solo sette aree boschive degne di questo nome, solo due delle quali (più o meno) protette… (da “Collasso – Come le società scelgono di morire o vivere ”). Questa parte di Hispaniola (l’altra è Haiti), sembra sia stata “concepita” su un preciso piano di sviluppo turistico da sogno: interminabili spiagge bianche dove le palme si protendono languidamente sul mare cristallino, tramonti infuocati attraversati fulmineamente da stormi d’aironi e gabbiani, nuvole blu e azzurre arrivano da Puerto Rico e dal lontano Yucatan, gonfie e spumose per inattesi, provvidenziali acquazzoni…
Come in tutte le nazioni contraddistinte da un melting plot etnicamente eterogeneo, anche i domenicani, giovani e vecchi, conservano nei tratti zambi, vale a dire indios/amerindi+africani/meticci e finanche europei, grazia e bellezza davvero particolari (e, nei modi, una cordialità sconcertante/Paulino Ismael, te ves como el ángel guardián de Bayahibe!).
Che gente sorprendente! Si riversa, nei weekend, sulle spiagge di Juan Dolio, Boca Chica o a Bayahibe, romanticamente definita “piccolo, rurale, borgo di pescatori”. Assolutamente da non perdere è la lontana, selvaggia Samanà (dove l’elettricità è arrivata solo nel 1992 e dove, nel mese di febbraio, è possibile avvistare decine di balene, che scelgono la baia antistante per accoppiarsi e riprodursi), mentre Punta Cana, sulla costa atlantica, si presenta come località ad alta vocazione turistica, oltre misura trendy, con un’atmosfera soft ed elegante, meno carácter latino e molto “american approach”…
Su tutta l’isola si balla, eccome se si balla; osservare la naturalezza con cui i domenicani muovono fianchi e bacino al ritmo di merengue e bachata, è già per sé piacevole, nondimeno, pochi sanno che le note sincopate e trascinanti del merengue e quelle più morbide e sensuali della bachata, hanno radici autoctone e contaminazioni afro. La “música de amargue” (“musica d’amarezza”), aborrita dalla borghesia locale (che la considerava oscena e volgare), popolare nelle campagne, nelle strade e, ovvio, nei locali malfamati, pare sia nata intorno agli anni Quaranta, quale espressione delle classi più povere ed emarginate. Finché la versione originaria della bachata prevedesse che la coppia restasse avvinghiata, dondolandosi e producendo un procace movimento d’anca sul quarto battito musicale, molti hanno guardato questo giro di danza eccessivamente “spinto”. Oggi, l’interpretazione del ballo si è via via attenuata, incontrando i gusti anche dei meno “trasgressivi”.
Il compulsivo “merengue” o cuban motion, la più antica delle danze caraibiche, mantiene quasi intatte le sue contaminazioni dai tam tam africani, quando alle popolazioni indigene Tainos e ai conquistatori spagnoli, si unirono gli schiavi importati dal Corno d’Africa nel retaggio spirituale dei loro usi e costumi. Nel reggaeton, cuban motion o merengue, il motore è sempre lì, nel bacino, pulsione di tutte le movenze dei ballerini. In tutta la Repubblica Domenicana, la musica risuona per strada, nei locali con tavolini all’aperto (per pochi pesos), sulle spiagge e mai al chiuso claustrofobico delle discoteche. No me pregunte si yo bailaba a la Española … No voy a decir nunca … (E non chiedermi se ho ballato a Hispaniola…non te lo dirò mai).
Isla Saona: mi sueño Caribe! La rivedo in sogno, come Madonna con Caye, La Isla Bonita: le semplici case color pastello, l’entroterra e le lunghe spiagge solitarie, il Canto della Plaja e lo chalet del medico che salvò il Presidente, la sabbia bianchissima orlata di palme, il mare di un incredibile azzurro cristallino, il pescatore lungo la riva e il bambino che si rotola nell’acqua. Come nelle foto che ho scattato.
Ciò che mi ha maggiormente colpito (e affascinato) di Saona che davvero è un’isola “non turistica” e non alla mercé del turismo, il governo domenicano ha preferito lasciarla inalterata ai suoi pochi, veri abitanti (a Mano Juan e a Punta Catuano, veri discendenti degli antichi indigeni del luogo, i Tainos, cui restano, lungo la rotta per l’isola, pitture rupestri sulle rocce, lì dove si rifugiarono nell’intento di sfuggire ai conquistadores), autenticamente incontaminata. E poco importa se le lance arrivano da Bayahibe scaricando, fra rum e aragoste, escursionisti di un giorno, che sia stata usata come set televisivo e cinematografico (inclusi diversi spot pubblicitari del cioccolato Bounty), l’isola resta comunque un paradiso a tinte calde, intima e silenziosa, beauty and nature per antonomasia: mi sueño!
Saona, fra le più belle nell’arcipelago delle Grandi Antille, è parte del Parque Nacional Del Este istituito nel 1975 ed è in questa sorta di santuario che mi sono ritrovata nella capanna – ospedale di Negro, un uomo riservato, schivo e di poche parole. Questo “biologo marino” autodidatta, privo di fondi istituzionali, che potrebbe annoverarsi come l’ultimo dei veri naturalisti, raccoglie, cura e reintegra in mare, piccole di Caretta Caretta, di tartaruga verde (Chelonia mydas), di tartaruga embricata, ormai rarissima (Eretmochelys imbricata) e di testuggini giganti, chiamate tartarughe liuto, che raggiungono gli ottocento chili di peso (Dermochelys coriacea).
“Perché tanta dedizione?” gli ho chiesto.“Perché stanno scomparendo”, ha risposto…L’incontro con Negro è stato per me, uno di quegli eventi straordinari che talvolta si mette in conto, quando ti rimetti in viaggio, pero eso es otra historia…
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