Speciale Ogigami Naoko
All’improvvisa morte della madre, tre fratelli si ritrovano a viveresotto lo stesso tetto, insieme alla nonna. Siamo a Toronto: Ray, un trentenneun po’ nerd, single e amante dei modelli in plastica dei supereroi spaziali,poco dopo il funerale lascia il proprio appartamento e torna ad abitare nellaspaziosa casa di famiglia. Qui vivono il fratello Maury, dotato pianistaaffetto da frequenti attacchi di panico che gli impediscono di uscire di casa eLisa, la sorella minore, studentessa universitaria alle prese con corsi dipoesia e fidanzati egocentrati. Insieme a loro la nonna giapponese, baachan, un’anziana silenziosa (non parla unaparola di inglese) che la madre aveva fatto arrivare dal Giappone, e il gattoSensei.La convivenza comporta qualche attrito, soprattutto per Ray, che vienesistematicamente estromesso dal bagno dalla nonna, la quale poi, uscendo, siproduce in misteriosi sospiri. Intanto Maury si impossessa di una vecchiamacchina da cucire della madre con la quale crea arditi modelli (lunghe gonne afiori, che poi indossa) e a poco a poco quest’attività sembra avere il dono di“sbloccare” il genio del ragazzo, che torna a suonare il pianoforte conrisultati eccelsi. Lisa si appassiona alle esibizioni di un air guitarist, che suona una chitarra immaginaria. Tra letante ossessioni di Ray c’è invece quella di dimostrare con un test del DNA chel’anziana non è una loro parente: il risultato del test gli svelerà invece –colpo di scena – la verità sulle sue origini. Riuscirà comunque alla fine ascoprire le ragioni di tanto sospirare dell’anziana donna: la nostalgia per unbel bagno giapponese, capace di fare cose inimmaginabili ai poverifrequentatori di tristi toilettes occidentali.
«Ogni civiltà si riflette nelmodo in cui viene usato il bagno», è l’assioma del collega indiano di Ray, alquale il ragazzo si rivolge per risolvere l’arcano di una nonna silenziosa chenon fa altro che sospirare. Una nonna e un bagno: casualmente tempo fa mi sonoimbattuta in una leggenda popolare giapponese “rivisitata” da una cantante pop,Uemura Kana, in una sua canzone, Toire nokamisama, nella quale si parla di una ragazzina che viene invitata dallanonna a pulire con ardore il bagno perché in esso risiede una divinità capacedi trasformare le bambine in ragazze avvenenti. Che siano archetipi importantidell’immaginario giapponese o meno, Ogigami Naoko sceglie questi due elementiper introdurre la sua storia di ironiche stramberie e profonde verità,ambientata in Canada, a Toronto.Un interessante pretesto, certo,il bagno, per rappresentare fin da subito un universo di contrapposizioni: allaquotidianità problematicamente nevrotica dei tre fratelli si oppone la calmarisolutiva, e orientale, della nonna; alle tante, spesso inutili, parole deigiovani, si contrappone un silenzio antico e profondo fatto di sospiri esguardi.Conferma la sua bravura l’attriceMotai Masako, già nei precedenti film della regista, nel dare corpo e movimentialla saggezza, nel riempire i riquadri formati dalle pareti della casa, nellospingere lo sguardo oltre la finestra, per vedere, lei sì ne sembra capace,oltre le apparenze. Quando al concerto di Maury si alza per aiutare il nipotefacendolo riprendere dallo stallo psicologico nel quale è caduto, e pronuncia l’unicaparola che sentiremo uscire dalle sue labbra durante tutto il film, «cool», l’attesa viene premiata ed èliberatoria e gratificante quasi quanto - le inquadrature che riprendono Ray lotestimoniano - una seduta in un creativo bagno giapponese.L’ordineprestabilito che Ray si è creato, viene intaccato dalla presenza di questadonna minuta che non parla. Il ragazzo vorrebbe, sembra, liberarsene, tornareal momento in cui la sua vita era rappresentata da una mensola sulla quale modellidi supereroi da fumetti, dall’aspetto maschio e vigoroso, sfilavano ordinati. L’ideadel test del DNA si rivela peraltro un boomerang: sarà proprio lui a risultarel’elemento spurio della famiglia, quello che era stato accolto come un gattorandagio (il riferimento non è a caso: ci sono spesso gatti nei film dellaregista, nel più recente soprattutto, Rent-a-Cat.E poi il gatto del film si chiama Sensei, che significa “maestro”). OgigamiNaoko si interroga sulla famiglia, come diversi altri registi giapponesicontemporanei, si pensi, per fare solo alcuni esempi, a Morita Yoshimitsu in Family Game (1983), a Miike Takashi in Visitor Q (2001), a Yoshida Daihachi in Funuke, Show some Love You Losers! (2007),più di recente al giovanissimo Yoshida Koki nel suo Kazoku X (2010), e, soprattutto, a Sono Sion, da Noriko’s Dinner Table (2005) a Himizu (2011). La regista peraltro,invece di concentrarsi come molti dei suoi colleghi sulle disfunzionalità dellefamiglie giapponesi contemporanee, si sofferma sui legami profondi che unisconoi membri di un gruppo familiare: il fatto che essi abbiano origine da fontibiologiche o semplicemente affettive non sembra, infine, fare differenza. Ciòche conta è il reciproco sostegno in questo mare di solitudine che è la vita,visivamente riassunto nelle inquadrature corali dei protagonisti riunitiattorno al tavolo a preparare insieme i gyosa(ravioli giapponesi). Toilet è un film che affronta tra gli altri, mi pare, anche ilproblema della (mancata) omologazione: i tre fratelli sono tutti, ciascuno peril proprio verso, mondi a parte rispetto all’ambiente che li circonda. Maury hauna personalità borderline, Lisa è sempre in conflitto con i compagni di corso,Ray, l’ordinato e preciso Ray, sembra malcelare, dietro alle carezze aimuscolosi modellini o alle schermaglie verbali con l’effemminato collega dilaboratorio, vaghe tendenze omosessuali. La loro forza scaturisce dall’essereuniti, dalla reciproca accettazione nella diversità. In questo senso i saggisilenzi della donna anzianaappaiono a mioparere come un “collante” delle loro verbose solitudini. E, anche, li aiutano achiarire con se stessi le proprie peculiarità ed esigenze, come quando a turnovanno da lei per chiederle in prestito dei soldi. Maury, il primo ad averaffrontato lo sguardo indagatore della donna, spiega agli altri che, nonostantelei non risponda, «capisce, ma devi essere sincero». Quasi che davanti alsilenzio di lei nulla valga se non il far emergere la propria autenticaessenza.La regista utilizza a trattimovimenti avvolgenti della macchina da presa, quasi, sembrerebbe, proprio a“proteggere” i suoi personaggi indifesi dalle insidie del mondo che licirconda. Lo stesso movimento che utilizza nell’introdurre la vecchia macchinada cucire Singer, ritrovata da Maury in una stanza in mezzo a oggettidimenticati, metafora della madre venuta a mancare, la quale in vita eraprobabilmente la protettrice a sua volta dell’unità della famiglia.La comunicazione tra i tre da unparte e la nonna dall’altra, proprio a causa delle reciproche caratteristiche,fa sì che si vengano a creare momenti tanto intensi quanto esilaranti: una seraRay, contrariato, non cena con il resto della famiglia, ma, quando la sala dapranzo sembra deserta, si siede al tavolo a consumare uno snack con una birra.Proprio in quel momento la nonna esce dal bagno e lo vede. In assoluto silenziola donna gli serve, con movimenti lenti, precisi e misurati, un piatto dei suoifamosi gyosa e si siede al tavolo afumare una sigaretta. Il momento è intenso. Ray sulle prime reagisce mettendosisulla difensiva: «solo le persone incivili fumano», poi cede all’atmosferainvitante del momento e si accende una sigaretta anche lui. La luce è calda eavvolgente. Il fascino enigmatico della donna che fuma e beve silenziosa, nonpuò non coinvolgere anche lo spettatore. È ancora il silenzio di lei che,sciogliendo i nodi di tensione, stimola la riflessione: il ragazzo parla, quasicome a se stesso, ricorda che era la madre che gli preparava i ravioli,ringrazia ripetutamente la nonna. Quando fa il segno “ok” alzando il polliceverso l’alto e la donna risponde nello stesso modo, colpisce la genialità delsemplice gesto che all’improvviso, e quasi teneramente, colma distanze cheparevano enormi. Profonde verità, sguardotagliente nelle ferite della vita, si diceva, servite su un piatto infarcito ditrovate decisamente comiche. La nonna che, mentre i tre divorano entusiasti icuscinetti di sushi commentandone a gran voce la squisitezza, ne assaggia amalapena uno e, dopo averlo masticato lentamente, posa i bastoncini e, senzache nessuno dei muscoli del suo volto tradisca qualsivoglia emozione, lascia iltavolo e la stanza, è una sequenza molto divertente. Così come quella, finale,nella quale Ray finalmente sperimenta il bagno fatto arrivare dal Giappone. Ilviso del ragazzo ripreso in primo piano esprime tutto il piaceredell’esperienza, ma, subito dopo, l’urna che contiene le ceneri della nonnacade inavvertitamente facendo fuoriuscire le polveri che finiscono dritte nellatoilette. Si chiude così il cerchio: la nonna entra a far parte di uno degliemblemi della superiorità tecnologica nipponica, si ricongiunge idealmente alleproprie origini, e il rumore dello scoscio dell’acqua di scarico sullo schermonero chiude la sua storia terrena e anche il film. Una nonna e un bagno, comesi diceva all’inizio. E, con leggerezza ma anche sensibilità, tutta lanostalgia per ciò che è stato, per le proprie radici, per gli affetti autenticifuori da schemi prestabiliti.Un ultimo accenno alle esibizionidi air guitar, presenti anche neifilm precedenti della regista. Lisa per prima e poi anche la nonna e di seguitoi fratelli ne rimangono affascinati, fino a “esibirsi” insieme sui titoli dicoda. La chitarra non esiste, non c’è materialmente, ma attorno a questaevidente mancanza, si possono costruire momenti di condivisione e appagamento.Come nella vita, a volte è proprio ciò che manca a dare lo stimolo per ilmovimento, per la reazione, per l’accendersi della passione. [Claudia Bertolè]