Vi piace lo scultore Arnaldo Pomodoro? Io amo quelle sfere di bronzo levigato - arance a orologeria che ci lasciano intravedere parte del loro meccanismo- e obelischi che abbandonano la perfezione delle colonne per mostrarci le interiora, in un intricato guazzo di garbugli e filamenti.
Sono cuori rivelatori di quel che si nasconde nelle viscere di città che si sforzano invano di sembrarci pulite e ordinate, ma che in realtà nascondono grovigli e incastri. Che cosa si cela dietro a quelle mura? Quei palazzoni, nati come funghi e tutti uguali, cos’hanno al loro interno? Che cosa li tiene su? Forse la risposta è racchiusa proprio tra le fratture di questi obelischi, frecce e sfere.
Pomodoro è uno degli scultori contemporanei italiani più amati nel mondo. Pioniere dell’arte informale e maestro indiscusso nella lavorazione del bronzo, qui in Giappone è amatissimo da sempre, tanto da essere stato insignito, nel 1990, del Praemium Imperiale, ossia il “Nobel” nipponico per l’arte.
Uno stile inconfondibile, il suo: non c’e’ nemmeno bisogno della firma, o della targhetta con il nome da leggere. Lo vedi e sai che è lui! Un po’ come Botero, con forme e volumi dilatati a dismisura…
Camminare per il centro di Tokyo è un’esperienza dal sapore vagamente surreale. Ci si trova a passare in rassegna grattacieli silenziosi, onirici cubi di cristallo, enormi uffici brulicanti di vita celata agli occhi, ma perfettamente percepibile. Energia che scorre sottocutanea nel cuore pulsante della città più grande del mondo, dove non si stacca mai la spina.
Negozi in stile showroom illuminati da mille faretti alogeni; taxi rapidi e strapagati; eleganti professionisti con valigetta e senza ombrello ma con cravatta e odore di caffè; dame pallide dal passo cortissimo e un’apparenza eterea, quasi ultraterrena. Ognuno cammina per i grandi viali alberati punteggiati di statue e panchine. Ognuno senza far rumore s’infila in edifici altissimi e nuovi di zecca, tutti tek e porte scorrevoli.
Proprio all’entrata dell’edificio più bello, tanto architettonicamente complesso quanto inspiegabilmente sobrio all’apparenza, in legno di castagno e vetro temperato, si staglia una scultura di Pomodoro.
Un obelisco che riconosco immediatamente.
Lo osservo: non è lucido ma piuttosto scuro, il che gli conferisce un’aurea mediamente inquietante, da reietto, in mezzo a tutte le altre superfici chiare. Un obelisco di bronzo tra gli alberi spogli del viale.
Poi mi giro, e tutto cambia. I colori e i volumi. Una breve quanto inattesa rivelazione. Una nota in tono minore. Uno di quei momenti in cui all’improvviso vedi le cose in modo totalmente differente. Come se ti avessero messo sotto il naso una gigantografia della realtà, o una ciclopica lente d’ingrandimento insieme a un grand’angolo per poter vedere una porzione di realtà più ampia.
Un piccolo Armageddon si apre, silenzioso, per far passare i demoni in transito tra gli universi paralleli. La città dialoga con gli elementi che la compongono. Si svela. Ci mostra le sue interiora, in fondo e in alto, proprio come la statua di Pomodoro:
Guardando l’obelisco dalla strada e lo vedo stagliarsi accanto a un alto edificio in costruzione. Un edificio che ci mostra le sue trippe, mentre già si sta preparando a coprirle. Ecco cosa si nasconde dietro alla perfezione: le trippe. E Pomodoro, lo sa.
Le Gru si riflettono nelle vetrate, alte come specchi. Lo smog, forse, le annerirà un po’. Anche se nel centro di Tokyo qualcuno provvederà subito a renderle di nuovo lustre e piane come una scultura, per perpetrare l’illusione di perfezione. No, non sono perfette. L’Obelisco svela l’inganno.E Arnaldo Pomodoro è un grande scultore.