“Tokyo Soup” – Ryu Murakami

Creato il 04 ottobre 2015 da Temperamente

Come penso molti visitatori di questo portale, amo le biblioteche, proprio come concetto. Aggirarsi per i corridoi, scegliere i volumi che più attirano i propri gusti, prenderli in prestito… Tutto senza scucire un euro, con gioia suprema del portafogli.
Recentemente, alla biblioteca di Gallarate, mi sono diretto verso sale meno battute, verso categorie meno ‘ordinarie’ come potrebbe essere
Narrativa italiana, ma con un richiamo esotico e particolare. Questa volta ho camminato fino alla libreria etichettata col cartoncino Letteratura giapponese.
Il mio interesse per anime e manga ed autori come Murakami Haruki non è certo un segreto, ed ero quindi sicuro di trovare qualcosa che facesse al caso mio. E infatti, come volevasi dimostrare, mi è capitato tra le mani questo
Tokyo soup, di Murakami Ryu. Mi sono documentato e questo autore non è assolutamente un parente del più famoso Haruki, autore di 1Q84 e L’uccello che girava le viti del mondo. Solo omonimia.
Mi è sembrato un buon auspicio.
Complice anche la copertina, abbastanza inquietante, mi sono convinto e l’ho preso in prestito. La ragazza disegnata in stile manga mi pare affetta da strabismo e i colori e le forme turbano dalla prima occhiata.
Ma veniamo alla storia, semplice ma disturbante.


Kenji è un ventenne di Tokyo che si è inventato un lavoro del tutto particolare. Alla madre ha raccontato che sta frequentando una scuola preparatoria per l’università, ma in realtà la sua vera occupazione è quella di accompagnare clienti stranieri (soprattutto americani) in cerca di sesso estremo. È un lavoro che gli permette di vivere da solo e di fare qualche regalino alla fidanzata Jun.
Tutto sembra andare per il migliore dei modi fino a quando non arriva la telefonata di Frank, un cliente che richiede i servizi di Kenji per tre giorni consecutivi, a ridosso del capodanno.
L’americano si rivelerà un’esperienza traumatica e difficilmente gestibile se non perdendo la sanità mentale.
È la storia di un rapporto perverso tra guida e cliente che in poche ore si cementifica in maniera incredibile, che non si può definire se non si conosce la sindrome di Stoccolma, che lega in modo morboso il rapito al proprio rapitore. Perché di fatto Frank ‘rapisce’ il giovane giapponese, lo lega a sé con una logica fuori dagli schemi ma che ha innegabilmente del fascino.
Libro per stomaci forti, sicuramente.
Pulp, splatter, malato.
Gli eventi a cui il protagonista è costretto ad assistere sono così fuori dall’ordinario e così spaventosi che anche le sue reazioni sono fuori luogo e assolutamente non proporzionate allo scempio che si palesa di fronte ai suoi occhi.
Il terrore cieco e l’incredulità sono tali che il giovane è impossibilitato a compiere la cosa più semplice, e cioè prendere il telefono e chiedere aiuto.
Ci troviamo spiazzati di fronte alla sua inerzia davanti alla distruzione a cui assiste, ma siamo anche spaventati che il prossimo possa essere lui.
L’incontro/scontro tra il cliente americano e la guida giapponese permette all’autore di rivolgere critiche manco troppo velate alla società nella quale vive. Dalle ragazzine liceali viziate costrette a vestire grandi marche per farsi accettare (ma, al tempo stesso, testimoniano la loro mancanza di personalità) ai barboni che vivono alle spalle della comunità e approfittando del lavoro altrui per sostentarsi, Murakami punta l’indice contro una cultura millenaria, quella giapponese dei suoi avi, che da sempre è legata fanaticamente alle proprie tradizioni e restìa al cambiamento, anche se le nuove generazioni iniziano a guardare con curiosità crescente verso l’America, quella dei sogni descritti dai film blockbuster e degli spot della Nike.
Libro molto ma molto forte che di certo non entrerà nell’Olimpo dei capolavori letterari, ma che sarebbe bene leggere per venire a conoscenza di una voce diversa, fuori dal coro.

Ryu Murakami, Tokyo soup, Mondadori, 1997


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