Uno dei temi di maggiore rilevanza e preoccupazione per i suoi risvolti spesso drammatici è quello dell’immigrazione. Al centro di dibattiti politici, contestazioni e manifestazioni vi è sempre la delicata e spinosa questione dell’altro sentito come diverso, che convive nella nostra terra, che talvolta parla la nostra lingua meglio di noi, che è nato e cresciuto nella nostra patria, ma che ciò nonostante viene nella maggior parte dei casi ancora additato come “straniero”. Questa tematica è il fulcro del nuovo libro dello scrittore e saggista americano Tom Wolfe Le ragioni del sangue (il titolo originale è Back to Blood), pubblicato in Italia lo scorso ottobre da Mondadori con la traduzione di Giuseppe Costigliola. L’autore che col suo romanzo d’esordio Il falò delle vanità aveva scosso l’opinione pubblica con una sagace critica sociale della New York degli anni ’80 (dal volume era stato tratto un film che, diretto da Brian De Palma, era stato bistrattato dalla critica e dal pubblico) torna a mettere in scena i conflitti di una grande città americana, in questo caso Miami. Agli scandali ed intrighi della finanza, alla sfrenata corsa alla ricchezza e al consumo si sostituiscono i ben più gravi e delicati problemi legati all’immigrazione e al melting pot della metropoli della Florida, in cui sono, come recita il titolo, le ragioni del sangue, l’eredità culturale dell’etnia di provenienza a contare davvero. Infatti, la storia inizia con l’impresa di Nestor Camacho, poliziotto di origini cubane, che salva la vita ad un clandestino di Cuba che tentava di fuggire dal regime di Fidel Castro. Un’azione decisamente eroica per tutti, tranne che per la famiglia di Nestor e per la comunità cubana residente a Miami, che vede il gesto del poliziotto come un atto di tradimento verso la sua gente. Da ciò si dipana una narrazione che intreccia le varie realtà presenti nella città, le diverse aggregazioni che restano radicate fortemente alle loro origini etniche e che dunque sono assolutamente isolate, se non addirittura in conflitto, le une dalle altre.
Impossibile ottenere una comunicazione efficace e priva di preconcetti tra le differenti “tribù”: è il pregiudizio verso l’altro, il “diverso” che permea ogni rapporto e impedisce una reale convivenza e mescolanza. Seppur vicini geograficamente, gli abitanti di Miami descritti da Tom Wolfe sono divisi dal loro retaggio e chiusi nelle loro gated communities come in delle fortezze, che impediscono qualunque dialogo. Una rappresentazione fortemente negativa e stereotipata di una città cosmopolita, che ha fruttato all’autore una moltitudine di critiche e accuse su media (The New York Times in testa) e social network. Bisognerebbe infatti appurare quanto ci sia di veritiero nella realtà dipinta dallo scrittore americano, che seppur avvezzo alla critica sociale può aver esasperato dinamiche e fenomeni spesso di difficile interpretazione in un testo che però bisogna ricordare si presenta chiaramente come un romanzo e non come una ricerca sociologica. A ciò si aggiunge lo stile non particolarmente scorrevole di Wolfe: un continuo cambio della voce narrante che nello stesso capitolo veste i panni di diversi personaggi a cui si aggiunge una sorta di flusso di coscienza che ha veramente poco della bellezza e creatività delle pagine di James Joyce e Italo Svevo e che alle volte risulta piuttosto un miscuglio di periodi senza armonia ed equilibrio. Una lettura non semplice sia per le tematiche trattate che per lo stile adoperato, che con le sue oltre cinquecento pagine può intimorire più di un lettore. Nonostante ciò, Le ragioni del sangue resta un libro molto interessante, che mette in luce dinamiche e problemi dell’odierna Miami, ma che si possono benissimo estendere a gran parte del mondo, un libro che rivela molte delle ombre presenti (ma spesso taciute) nel multiculturalismo e richiama l’attenzione su un tema sempre di grandissima attualità come l’immigrazione.