Tomasz Gluziński
Nel 2005 la casa editrice “Więź” di Varsavia pubblicò un’antologia poetica di Tomasz Gluziński dal titolo “Il grande pascolo”, contenente poesie tratte da diverse sue raccolte, e con una presentazione del poeta, saggista e critico letterario Krzysztof Karasek. Al riguardo ho trovato in internet questo articolo del poeta, saggista e traduttore Jarosław Mikołajewski (v.nel mio blog), scritto nello stesso anno. Eccolo nella mia traduzione.
Un capolavoro dimenticato
Una gioia maggiore della scoperta di un nuovo talento, si prova quando si ritrova un’opera ingiustamente dimenticata. La gioia di ricordare e di proporre la poesia di Tomasz Gluziński la dobbiamo alla casa editrice “Więź” e a Krzysztof Karasek, che ha scelto le poesie di questo poeta, corredandole di una sua introduzione.
“Gluziński nacque nel 1924 a Lwów – scrive Karasek. Frequentava la scuola nella stessa strada in cui si trovava quella del suo compaesano di dieci anni più giovane Zbigniew Herbert, solo che dalla parte opposta. La guerra lo cacciò dalla città natale e nel 1950 si stabilì a Zakopane”. Un conciso e colorito curriculum di Gluziński lo troviamo nella sua autobiografia essenziale contenuta nella lettera da lui scritta al poeta Zbigniew Herbert nel 1983. Emerge da essa la figura di un patriota che nel 1944 si arruolò nel 1 Reggimento Alpini, che dopo la guerra cercò la sua dimora nella Bassa Slesia, e infine si creò una famiglia, mettendo per sempre radici ai piedi del Giewont. Sciatore, allenatore delle nazionali femminile e maschile di sci, uomo di forte fibra. “Al partito o altra ignobile organizzazione non appartenevo – scrive nella suddetta lettera – non applaudivo, non sorridevo stupidamente, ho pubblicato un paio di libri e neanche una volta ho consegnato personalmente il manoscritto alla casa editrice, servendomi sempre della posta. Non mi conoscono da nessuna parte, non sanno che aspetto ho”.
“Le mie vicende – rispondeva Herbert – sostanzialmente sono state assai simili (…). Grazie a Te mi sono reso conto di quanto sia inestimabile la solidarietà generazionale – non quella che risulta dalla data di nascita, ma quella che deriva dalla osservanza della lealtà”.
Come poeta Gluziński debuttò nel 1958 sul settimanale “Tygodnik Powszechny”, ha pubblicato 11 raccolte di poesie, è morto nel 1986. “Era – scrive Karasek – una delle personalità di Zakopane, come il pittore Brzozowski, lo scultore Rząsa o il generale Boruta-Spiechowicz – stabile elemento del paesaggio di questa città (…). E’ sepolto nel Vecchio Cimitero, celebre necropoli di Zakopane. “Sciavo – scrive riassumendo ad Herbert la sua vita – al sole, nella nebbia, nelle bufere di neve, sul ghiaccio, giravo sulle creste, sulle vette, nei boschi, e ringraziavo Dio che mi aveva fatto diventare un poeta poco istruito, ma esperto”.
Tomasz Gluziński era un poeta che sperimentava In maniera oltremodo consapevole. Era il poeta della rude denominazione della realtà, degli inattesi paragoni, delle ricerche nello spazio e nella fantasia al tempo stesso, del ridurre il mondo alla sua essenza. C’è nei suoi versi il coraggio di denudare i rituali, l’audacia del linguaggio corrente e dell’arrivare al nocciolo delle cose, senza inutili preamboli.
Scrive giustamente Karasek che Gluziński svolse un ruolo rilevante „nella formazione del linguaggio poetico contemporaneo”, lo indica come un creatore della Nouvelle Vague polacca, così importante per i poeti nati negli anni ’40, nonché per quelli assai più giovani.
C’è nella raccolta “Il grande pascolo” una ricchezza di poesie indipendenti, subordinate soltanto all’avventura spirituale e alla volontà artistica. Autentiche quando le loro fonti scaturiscono da fatti del tutto privati e a noi nascosti. Questo volume di Gluziński è uno dei dei più grandi eventi letterari del nostro tempo, e anche se il poeta è morto 19 anni fa, ciò non cambia affatto la sostanza delle cose.
(2005) Jarosław Mikołajewski
Alcune poesie di Tomasz Gluziński tradotte da Paolo Statuti
Didascalia
dietro la finestra secondo la stagione molte
foglie o un gran gelo e l’ornamento o
la sua completa assenza determina senza alcun
dubbio sia la topografia sia
l’atmosfera di questo luogo dove al
centro su una comune sedia o meglio
in terra siede una persona di sesso
indifferente di qualsiasi età che subito
a prima vista sembra
soffrire benché non sia affatto
una sofferenza per una malattia e la persona
stessa possa essere sostituita semplicemente
con un modello di cera o di cartapesta ma ecco
man mano che cresce tra le quinte una allegra
melodia eseguita al corno
inglese con l’accompagnamento dell’organo e
di voci umane inarticolate
il viso della figura seduta e tutta la sua
ricurva immobilità subisce
una graduale inevitabile metamorfosi
che si manifesta con la scomparsa delle rughe
all’inizio con un lieve poi sempre crescente
gesticolare tanto che quando si alza
il sipario abbiamo davanti a noi un uomo
maturo dal cranio benfatto e distinto e
il volto sereno e tutta la bella virile
figura dimostra la forza e la risolutezza
propria delle persone abituate a svolgere
determinate funzioni e allora secondo
le circostanze da sinistra o da destra
si apre come sempre una porta ed entra
una persona di sesso indifferente che a prima
vista sembra soffrire ma
non è una sofferenza per una
malattia e la persona può essere sostituita
con un semplice pupazzo di cera o di
cartapesta ed ecco a poco a poco man mano che
si sviluppa l’azione con la crescente
melodia al corno inglese e all’organo
con l’accompagnamento di voci umane
inarticolate i ruoli subiscono una impercettibile
lenta e inevitabile trasformazione e così
tra gli applausi il sipario si abbassa e si alza
più volte e bisogna qui aggiungere ancora
che il dramma si svolge con disinvoltura alla luce
del giorno sotto i nostri occhi
1968
Cosciente
nemmeno la guerra
nessuno porta le armi
semplicemente una marcia
quel giorno della partenza di trecentomila
pellegrini per il deserto causò
nel calendario della storia
importanti mutamenti
in questa situazione
la poesia
non può più
imitare il cinguettio degli uccelli
non può essere un erbario
né il martirio dell’etimologia
tutto ciò che avviene intorno
supera l’immaginazione
e i diari di un’anima sensibile
i libri dei sogni e le metafore abissali
adesso sono tanto necessarie
quanto un sacco di sale versato nel mare
l’odierna poesia deve essere
cosciente
e nessuna parola
che cozza contro altre con schianto
come lucenti sfere sul verde
abito della fantasia sarà in grado
di uguagliare lo scricchiolio della sabbia
e i sussurri del desiderio
1977
Al crepuscolo
come cavarsela col panorama
dipingere tutto come viene
coi salici la nuvola l’erba che appassisce
e la rosea gelatina del sangue
come dunque immortalare un bel paesaggio
covoni di segala il panico degli uccelli
il pallido azzurro del cielo di settembre
e la nuvola di polvere da sotto lo zoccolo
gli sciami di mosche il loro verde lucente
le pagnotte da poco freddate
che tra le stoppie giacciono
come pietre campestri
e il penultimo riflesso del sole
prima che sul freddo candore della fronte
al crepuscolo
striscerà come rame
17.09.1975
Indomabile
cercare di astenersi dalle metafore
dire la verità e soltanto
la verità
l’erba
è verde
la neve è fredda
l’acqua è bagnata
la corda è di canapa
e ognuno ha
i buchi nel naso
se tuttavia qualcuno
volesse da queste banali
informazioni trarre
delle conclusioni non resterà deluso
perfino l’elenco del telefono
in certe circostanze
può risultare anche
una lettura sconvolgente
per confrontare
i numeri
di berlino e di varsavia
del 31 agosto 1939
quasi la lista
completa dei boia e delle vittime
evitare le metafore
l’erba
è nera la neve è calda
neanche una goccia d’acqua la corda
per appendere e i buchi
nel naso nelle spalle nella
nuca
perché non c’è una
parte del corpo che l’indomabile
immaginazione umana
possa risparmiare
1977
Indipendenza
la mia libertà
si compone
di appena qualche elemento
il primo
è l’estraneità dell’odio
che è la schiavitù più crudele
il secondo
è la discordanza con l’invidia
questa usurpazione del possesso esclusivo
il terzo
la libertà di pensiero
o se si preferisce
la resistenza
alle seducenti e a volte
velenose verità della filosofia
degli ultimi secoli
i restanti attributi
non meritano
di essere menzionati
se non si vuole
gracchiare come un qualunque pappagallo
in una qualunque
gabbietta di fildiferro
Zakopane 17.07.1983
Senza chiacchiere
i cani
non imparano mai
l’arte di parlare
vivono
forse troppo poco
ma anche così
sono superiori all’uomo
nel trasmettere le intenzioni
senza smorfie e senza chiacchiere
una particolare articolazione
di desideri di avvisi d’inquietudini
di curiosità e perfino
di affetto
manifestano perfettamente
con il loro tipico atteggiamento
dal naso alla punta della coda
oppure
coi latrati o mugolando ringhiando
e ancora con un certo
vocalizzo da cani
l’espressione
degli occhi dei cani dimostra in modo
suggestivo una intelligente
sensibilità
e la docilità
estorta con un severo addestramento
è un’ulteriore prova
della smisurata fiducia e
dell’amore del tutto irrazionale
degli animali
per l’uomo
Zakopane 26.07.1983
Quanto ancora
quali esperienze ancora
quanti sacrifici occorre subire
per non chiamare i bisogni dello spirito
solo un mercato
per un boccone di pane
quanto tempo deve passare
per capire che la fame del cuore
si nutre di foraggio della verità
e non di oro
che uccide
quanto sangue scorrerà ancora
quanto ci spremeremo il cervello
per capire l’origine della bramosia
per sapere
cosa ci duole
Zakopane 6.09.1983
Solo un filo sottile
A Zbigniew Herbert
nei rivoli dell’acquazzone
il cervello si bagna
e nelle paludi marcisce l’erba
ai pensieri rigonfi nessuna pausa
di sonno neanche un istante
soltanto la veglia
soltanto dietro il colletto cola la paura
goccia dopo goccia penetra nelle tegole di legno
trapela la minaccia dal vecchio tetto
e il fungo si addentra nei quattro angoli
con un tale acquazzone
il torrente romba
e dai monti il granito portato batte
l’acqua si avvicina alla porta
e mille rane nascono nel pozzo
dietro la finestra rivoli
niente di più
non c’è più né terra né cielo
solo un filo sottile di speranza
e una fetta di pane ammuffita
Zakopane 8.08.1985
(C) by Paolo Statuti