Damiano Tommasi (AIC)
NOTIZIE (Roma). ”Parlare nel 2013 di colore della pelle mi fa venire i brividi. Credo che siamo maturi per capire che sia fuori luogo, ma è anche il sintomo che si va allo stadio per altro. Purtroppo dentro alla stadio si fanno cose che fuori non si fanno o che sarebbero punite”. Sono le parole di Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, su quanto accaduto domenica sera a San Siro, con i cori razzisti di alcuni tifosi della Roma all’indirizzo dei giocatori di colore del Milan.
Tommasi, a margine dell’incontro dal titolo ‘Mondo ultras’ presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Universitò Roma Tre, pur riconoscendo che il razzismo non è l’unico dei problemi, ha sottolineato come il calcio abbia ”la responsabilità di dare messaggi positivi”. ”Bisogna capire che dentro uno stadio certe cose non si possono fare e invece premiare chi dentro si comporta bene – ha aggiunto il numero uno dell’Aic – Non è pensabile, infatti, che chi si comporta bene o le stesse squadre debbano uscire dal campo per colpa di pochi”. ”Noi come associazione siamo stati d’accordo a suo tempo, quando il Milan uscì dal campo a Busto Arsizio – ha ricordato Tommasi – Ma quella era un’amichevole, mentre in una partita ufficiale non può essere il capitano di una squadra o l’arbitro a prendere la decisione di uscire dal campo definitivamente. C’è un responsabile dell’ordine pubblico e spetta a lui dare delle indicazioni che vanno rispettate”. Secondo Tommasi ”è’ un’anomalia tutta italiana quella di considerare contestazioni e insulti ai giocatori come effetti collaterali del professionismo, del mestiere. C’è una sorta di assuefazione, mentre andrebbero considerate come devianze della cultura sportiva. Lo stadio è ancora una zona franca per quanto riguarda i tifosi e il loro comportamenti”. ”La percezione che si ha in Italia è che un certo modo di fare tifo sia considerato ormai parte del sistema – ha aggiunto – Bisogna invece fare alcuni passi indietro, riconsiderare il calcio come uno spettacolo, un gioco. E non legare la prestazione al dato economico di chi lo pratica. In Italia pero’ sono discorsi ancora troppo prematuri. Nessuno si permetterebbe di fare i conti in tasca a un cantante se un concerto non è’ piaciuto”