DINO BUZZATI
“Il deserto dei Tartari”
Che cosa aspetti signor colonnello? Il sole è già alto, perfino il maggiore Matti, entrato poco fa, non nascondeva una certa apprensione, perfino lui che non crede mai in niente. Fatti almeno vedere dalle sentinelle, un piccolo giro sulle mura. Gli stranieri, ha detto il capitano Forze che è andato a ispezionare la Ridotta Nuova, si distinguono oramai uno per uno, e risultano armati, portano sulle spalle fucili, non c’è tempo da perdere.
Filimore vuole invece aspettare. Saranno soldati quegli stranieri, lui non nega, ma quanti sono? Uno ha detto duecento, un altro duecentocinquanta, gli hanno fatto inoltre presente che se quella è l’avanguardia il grosso sarà almeno di duemila uomini. Ma il grosso non si è ancora visto, potrebbe darsi che non esista nemmeno.
Si dice talora che le imprese iniziano ad innovare quando sono minacciate, perdono quote di mercato, subiscono attacchi da concorrenti che hanno elementi di superiorità.
Vero. Ma può anche accadere che il peso delle routine quotidiane sia talmente forte da impedire di percepire il rischio, di prendere l’iniziativa.
Il colonnello continua a pulire le lenti degli occhiali, a sfogliare le carte di tutti i giorni, i permessi, le licenze, i moduli, totalmente assorbito dalla ripetizione dei gesti consolidati da una lunga attesa e consacrati da regole e abitudini.
Perfino quando qualcuno richiama la necessità di agire, c’è sempre qualche buona ragione per attendere: sono davvero duecento, o forse duecentocinquanta- come se facesse differenza rispetto al pericolo.
In un articolo sulla crisi della General Motors, il giornalista di Fortune John Talylor III, che ha seguito per trent’anni la casa di Detroit, giunge a questa conclusione: troppo grandi, troppo lenti per cambiare in profondità.