Dopo un tris di capolavori dell’exploitation più radicale come “L’amante del vampiro” (1960), “La verità secondo Satana” (1972) e “Riti, magie nere e segrete orge nel trecento” (1973) è la volta del poliziottesco che, attraverso il contorto approccio filosofico ed intellettuale del nostro autore, diverrà prevedibilmente qualcosa di diverso.
“Dopo un inizio verboso, in cui si segue una sorta di delirante flusso di coscienza del protagonista per quasi dieci minuti, il film prosegue senza seguire una struttura narrativa chiara e lineare, a causa dei continui andirivieni temporali. La storiella di fondo è poco più che un pretesto per mostrare qualche scena pseudo-erotica alternata a scazzottate e pestaggi. In ogni caso quel che colpisce di più è l’assoluta inverosimiglianza della storia e la scarsa professionalità dell’insieme”
Tecnicamente girato a quattro mani con Bruno Vani, ma presumibilmente col cuore e la testa del solo Polselli, il titolo è una messa in atto della cosiddetta libera scrittura surrealista (Bunuel l’avrebbe adorato), dove parlare di coerenza narrativa non ha alcun senso. Meglio lasciarsi trasportare dai dialoghi schizofrenici – nonchè fluviali – del protagonista, tasselli di una scrittura criptica ed affascinante, che anticipano di vent’anni i monologhi taglienti, cinici e scorretti del prodigio cinematografico francese Gaspar Noè.
Un’opera importante, sorprendente per la genialità con cui si tenta si sopperire al budget risicatissimo (si veda solo il montaggio psichedelico, con le sue deliranti associazioni visive). Di difficile reperibilità, forse proprio per questo ancor più prezioso.