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Torino, Crocetta: Il “nido di una vita” di Primo Levi e il mercato di Giovanni Arpino

Creato il 03 ottobre 2010 da Cittasottile

Nasce il 31 luglio 1919, si toglie la vita l’11 aprile 1987. Stessa casa, stesso palazzo di corso Re Umberto 75, dove il padre Cesare si era trasferito da Bene Vagienna e dove la madre, in quel brutto giorno di aprile, era costretta a letto all’età di 92 anni. La biografia di Primo Levi pubblicata da Baldini&Castoldi e scritta da Myriam Anassimov si apre con la descrizione di corso Re Umberto, “uno degli ampi viali che tagliano a scacchi l’elegante quartiere della Crocetta … i negozi sono rari e i pesanti portoni dei palazzi dalle facciate austere si aprono talora su atri spaziosi come cripte. I passanti non sono numerosi; in mezzo alla folta vegetazione di ippocastani, i tram scivolano sui binari presi d’assalto dalle erbacce”.

Levi non si sarebbe mai allontanato da quell’appartamento, dove avevano vissuto suo padre e suo nonno; nella stessa stanza in cui era nato vi aveva posto lo studio; sul corso, negli anni della sua infanzia, passavano “il vetraio, lo stracciaio, il raccoglitore dei capelli del pettine, i mendicanti che cantavano e suonavano l’organetto, ai quali si gettavano monetine avvolte in un pezzo di carta”. Nella sua casa passano Eugenio Gentili Tedeschi, Rita Levi Montalcini, Bianca Guidetti Serra, suoi amici di sempre e anch’essi abitanti nel quartiere. Nel settembre del 1986 lo scrittore americano Philip Roth vi trascorse un lungo week-end, da cui riporta un’immagine di semplicità e di mitezza dello scrittore-chimico torinese: “Non conosco nessun altro scrittore contemporaneo che sia rimasto per tanti anni così intimamente legato e vicino alla sua famiglia, al suo luogo di nascita … e soprattutto all’ambiente professionale locale”. Levi, che ha descritto con grande efficacia il suo internamento in campo di sterminio con Se questo è un uomo e La Tregua, chiude la sua vita senza dichiarazioni, con la discrezione con cui egli aveva riportato nei suoi libri quella “sensazione infinita di una minaccia che incombe”, “un’angoscia sottile e profonda” che rende indistinti realtà e immaginazione e fa pensare che non tutto il male visto e provato sia veramente finito.

Al quartiere è affezionato anche Giovanni Arpino, che ha vissuto per lunghi anni in via Cantore. Istriano di nascita (nasce a Pola nel 1927) vive tra Torino e Milano. In un articolo del 1978, pubblicato da Stampa Sera, riporta i suoni e i colori del mercato di largo Cassini: “l’orgia della svendita, la kermesse della sottana e dei jeans … è la parata marziale di soprabiti e giacchette di velluto … ma alle spalle, ecco i battaglioni di pomidoro, di peperoni, di pesche e di uve … ecco l’ambulante che fa suo il compromesso mangereccio tra Nord e Sud, sposando, in un unico spazio, scamorza e toma d’Alba e pecorino sardo”. Alla Crocetta, spiega lo scrittore, “puoi nutrirti, calzarti e vestirti nel giro di pochi passi … è il mercato più attraente e più celebre di Torino: pochi metri quadrati dove si raggruma un’umanità che parla cento sfumature di diversi dialetti ed esercita la vendita e l’acquisto secondo tutti i canoni tradizionali della diffidenza e della persuasione”. Al termine della giornata, rimangono sull’asfalto “brandelli di verdure, carte veline, stecche di legno … nell’unico bar d’angolo smettono di correggere tazzine di caffè con grappe e amari. Contro il muro della chiesa tornano a volare i colombi. Due omoni ramazzano con fare impigrito dal crepuscolo, una vecchina avanza lenta alla ricerca di qualche rifiuto possibile. C’è odore di formaggi, cuoio ed erbe fradice. La campana della chiesa suonerà, più tardi, nel vuoto”.

(estratto dal volume “Monaci, mercanti & cowboy. Il borgo della Crocetta tra storia e vita quotidiana”, scritto da me e pubblicato da Opera nel 2001).



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