Il Torino Film Festival numero 32 è in arrivo. Le date: 21-29 novembre. I numeri: 180 film, di cui 15 del concorso principale. Il nuovo Woody Allen in anteprima, l’Amalric attore-regista di La chambre bleu da Simenon, il documentario nuovo-nuovo di Lav Diaz, la serie tv girata da Bruno Dumont e parecchio d’altro.
Intanto, ecco 30 buonissime ragioni per cui val la pena andare al TFF, 30 film scelti nell’enormità dell’offerta. Ci ho messo dentro un bel po’ di cose che ho già visto altrove, a Cannes, Locarno, Berlino, e qui giustamente riproposte, alcune di sicuro appeal e altre assai meno mainstream. Di sicuro molti altri buoni e ottimi si nasconde nel programma, ma il loro valore lo si capirà solo vedendoli. Il bello di un festival sono anche l’azzardo e la scoperta.
The Duke of Burgundy
1) The Duke of Burgundy di Peter Strickland (Concorso Torino 32)
Torna il regista inglese che tre anni fa con Berberian Sound System, sofisticato omaggio ai darioargentismi del cinema italiano anni Settanta, ha espugnato festival e vinto premi. Torna con un lesbo-thriller, anche questo non immemore di certo nostro cinema di genere come i lounge movies di Umberto Lenzi, che ha al centro una ricca signora e le sue serve-schiave-amanti. Morboso d’autore. Altamente consigliato.
2) Gentlemen di Mikael Marcimain (Concorso Torino 32)
Due anni fa lo svedese Marcimain aveva portato a Torino, sempre in concorso, il notevole Call Girl, purtroppo trascurato dalle giurie. Adesso ci riprova con Gentlemen, tentativo si spera riuscito di ricreare il mondo sotterraneo di certa Stoccolma marginal-artistica e anche malavitosa degli ultimi anni Settanta.
3) ’71 di Yann Demange (Festa mobile)
Una delle scoperte della Berlinale scorsa. 1971, Belfast. In un’operazione di pattugliamento nella zona cattolica della città un soldato inglese arruolato da poco rimane disperso, left behind. ’71 è il racconto, assai teso, della sua lotta per sopravvivere in territorio nemico. La mia recensione da Berlino.
4) Jauja di Lisandro Alonso (Festa mobile)
L’argentino Alonso è autore massimamente rispettato, il suo Jauja, presentato a Un certian regard a Cannes, è subito diventato oggetto di devozione cinefila. Patagonia fine Ottocento. Un uomo emigrato dalla Danimarca si mette alla ricerca della figlia scappata via con un soldato, tipo Adele H. Un film dominato dall’eccesso del paesaggio. Con Viggo Mortensen anche produttore. Jauja sarà dopo Torino alla rassegna Filmmaker di Milano (dal 28 novembre).
Magic in the Moonlight
5) Magic in the Moonlight di Woody Allen (Festa mobile)
In anteprima italiana l’ultimo Woody Allen, in sala a partire dal 4 dicembre. In America non è andata poi così bene al box office, questa storia calata nella Costa Azzurra anni Venti con un finto mago cinese, una giovane chiaroveggente, una ricca famiglia espatriata in riva al Mediterraneo. Ma è Woody Allen, da vedere a prescindere.
6) P’tit Quinquin di Bruno Dumont (Festa mobile)
Le quattro puntate della serie tv realizzata per Arte da uno dei più radicali cineasti francesi, Bruno Dumont. Il quale riesce a essere perfettamente se stesso, con il suo senso del desolato paesaggio nord-francese, con la sua passione per personaggi-freaks, e insieme assai comunicativo e anche divertente. Una serie di bizzarri delitti su cui indaga un commissario svagato con assistente tonto, e intanto il discolo Quinquin incuriosito assiste e un po’ partecipa. Presentato alla Quinzaine a Cannes.
La chambre bleu
7) La chambre bleu di Mathieu Amalric (Festa mobile)
Amalric, qui attore e autore, attualizza molto bene – a parte qualche marginale inverosimiglianza – uno dei racconti più dark di Georges Simenon. Un amour fou che si fa amore criminale. Presentato in gran pompa in prima mondiale a Cannes/Un certain regard.
8) Profondo rosso di Dario Argento (Festa mobile)
Uno dei vertici di Dario Argento, presentato in versione restaurata in occasione dei suoi (di Profondo rosso) quarant’anni. Film oltretutto quasi interamente girato a Torino, ed è dunque questa proiezione anche un omaggio alla città. Il regista ci sarà.
9) The Disappereance of Eleanor Rigby – Her e Him di Ned Benson (Festa mobile)
Una delle più belle e starazianti storie d’amore che il cinema ci abbia dato da parecchio tempo in qua. Eleanor (Jessica Chastain) e James McAvoy (Conor) non riescono a stare insieme, pur amandosi e pur non potendo fare a meno uno dell’altra. Perché? Cos’è successo? Indagine su una coppia divelta non immemore delle bergmaniane Scene da un matrimonio, ma con un occhio anche a Un uomo, una donna, esplicitamente citato attraverso un’affiche piazzata dal regista nella camera dela protagonista. A Cannes, a Un certain regard, si è vista la versione unica, e ridotta, voluta dal produttore. Ma a Torino ci saranno i due film originari e distinti, come li ha concepiti il regista, con la storia raccontata dal punto di vista di lei (Her) e di lui (Him). Mentre quella di Cannes (recensione) era un montaggio di pezzi da entrambi.
The Drop
10) The Drop di Michaël R. Roskam (Festa mobile)
Il belga Roskam è il regista di quel Bullhead, storia durissima di un uomo tirato su a restosterone, che qualche anno fa sfiorò l’Oscar come migliore film straniero. Con The Drop approda al cinema americano indipendente, con il contributo di tre attori eccellenti, il grande Tom Hardy (uno dei miei preferiti), Noomi Rapace e James Gandolfini alla sua ultima interpretazione. Tratto da una short story del Dennis Lehane di Mystic River, The Drop racconta di Bob, giovane uomo di Brooklyn che lavora in un bar inquinato dalla malavita cercando però di mantenere la propria integrità. Finché qualcosa romperà quel precario equilibrio.
11) The Theory of Everything di James Marsh (Festa mobile)
Biopic dell’astrofisico superstar Stephen Hawking. Uno di quei film che i votanti dell’Academy amano amare, e difatti lo si dà in buona posizione nella imminente awards’ season americana. Protagonista l’Eddie Redmayne che era tra i pochi a saper recitare-e-cantare davvero in Les Misérables.
12) Turist/Force majeure di Ruben Östlund (Festa mobile)
Uno degli hit di Cannes 2014, sezione Un certain regard, dove questo film svedese ha vinto un premio e convinto legioni di critici di tutto il mondo. Accolto da reviews pazzesche in Aamerica e lì dato per ottimamente piazzato nella corsa al prossimo Oscar per il miglior film straniero, sì, molto, molto più del nostro Il capitale umano. Una giovane coppia svedese con figli in vacanza sciistica sulle Alpi svizzere viene quasi travolta da una valanga. Ma a essere travolto, forse irrimediabilmente, è l’equilibrio già instabile tra lui e lei. Bergman incontra Haneke e pure Darwin. Da non perdere assolutamente. Mia recensione da Cannes.
Whiplash
13) Whiplash di Damien Chazelle (Festa mobile)
Lanciato al Sundance e poi rilanciato a Cannes dalla Quinzaine, dov’è piaciuto soprattutto ai ragazzi. E film giovane giovane difatti è. Racconto di formazione con musica del batterista jazz Andrew. Che dovrà misurarsi con la figura del suo sadico, tirannico e pure titanico direttore d’orchestra. Un duello letteralmente all’ultimo sangue. Furbissimo. Travolgente. Mia recensione da Cannes.
14) Wild di Jean-Marc Vallée (festa mobile)
Il film di chiusura del TFF32 (quello di apertura è il francese Gemma Bovery di Anne Fontaine, con Gemma Aterton e Fabrice Luchini). Dirige lo Jean-Marc Vallée di Dallas Buyers Club, protagonista è Reese Witherspoon nella parte di una giovane donna che per lasciarsi alle spalle storie di droga e amori sbagliati decide di intraprendere un lungo e rigenerante viaggio a piedi sul Pacific Crest Rail, il sentiero che va dal confine canadese degli Stati Uniti a quello col Messico. Screenplay di Nick Hornby, e non sapri dire se sia buona cosa o no.
15) 20,000 Days on Earth di Iain Forsyth, Jane Pollard (Festa mobile/Ritratti d’artista)
Me l’ero perso alla Berlinale, meno male che a Torino lo ridanno. Mockumentary, docufiction su, con, intorno a Nick Cave, immaginando una sua giornata mentre prepara un album. Dirige la coppia di artisti inglesi Iain Forsyth-Jane Pollard. Mica il solito ritratto d’artista.
16) Senza Lucio di Mario Sesti (Festa mobile/ Ritratti d’artista)
Ricostruzione di Lucio Dalla, con l’ausilio della persona che più gli è stata vicina negli ultimi anni, Marco Alemanno. Un film che è anche storia di come si siano incontrati. Con contributi di gente che Lucio l’ha conosciuto bene e gli ha voluto bene.
17) Baal di Volker Schlöndorff (Festa mobile/ Torino incontra Berlino)
Cosa da cinefili puri. Il mitologico film che Schlöndorff, uno dei padri del Nuovo Cinema tedesco, trasse nel 1969 dal Baal di Bertolt Brecht, e bloccato per molto tempo dal veto posto dalla vedova del drammaturgo Helene Weigel. Cui questa attualizzazione-revisione parve blasfema. Da vedere non solo perché sdoganato da poco grazie alla nipote di Brecht, ma soprattutto perché ne è protagonista nientemeno che un giovanissimo Rainer Werner Fassbinder non ancora regista cinematografico di lungometraggi (ma di teatro sì). Con lui Hanna Schygulla e Margarethe Von Trotta. Un evento di quelli veri.
18) Das Cabinet des Dr. Caligari di Robert Wiene (Festa mobile/Torino incontra Berlino)
La versione restaurata, presentata in prima mondiala alla scorsa Beerlinale, di uno dei vertici del cinema espressionista tedesco. Un pezzo di storia del cinema con cui non si può non fare i conti.
19) It Follows di David Robert Mitchell (After Hours)
A Cannes, dove l’han dato alla Semaine de la critique, tutti a parlar bene di questo horror assai sofisticato e autoriale. Giustamente riproposto a Torino. La prima notte d’amore diventa per la teenager Jay l’incominciamento di un incubo.
20) L’enlèvement de Michel Houellbecq di Guillaume Nicloux (After Hours)
Visto alla Berlinale. Mockumentary-docufiction in cui si immagina che Michel Houellebecq - nella parte di se stesso – venga rapito da un commando misterioso. Si ipotizza possa essere Al Qaida, ma non è così. Tra il surreale e il demenziale, un rapito che va pazzamente d’accordo con i suoi rapitori, che peraltro non gli fan mancare niente. Molto divertente. Pieno di intelligenti paradossi. Questo è proprio l’anno di Houellebecq attore, e attore sorprendentemente ottimo. L’abbiamo visto anche a Venezia protagonista del notevole e purtroppo snobbato Near Death Experience del duo Benoît Delépine-Gustave Kervern.
21) Tokyo Tribe di Sion Siono (After Hours)
Selvaggio, estremo. Torna Sion Siono con il suo pulp nipponico, con il suo manga-cinema, che stavolta importa a Tokyo il genere assai americano delle bande metropolitane in conflitto. Tra citazioni di Colors e I guerrieri della notte, una scatenata sinfonia del massacro.
22) Cold in July di Jim Mickle
Pure questo gran successo della Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2014. Anche se poi, uscito in America, non ce l’ha fatto a conquistare il pubblico, nonostante fosse sospinto da ottime critiche di strampa e web. Un noir tosto e però con slittamenti nel grottesco con il solito everyman trascinato in storie più grandi di lui. Un uomo uccide un ladro entrato in casa sua, da quel momento ci saranno sviluppi imprevedibili e la sua vita cambierà. Grandissimo ritmo. Incatenante. Con due miti anni ’70 come Sam Shepard e Don Johnson (grandissimo ritorno). Al regista Jim Mickle il TFF dedica un miniciclo.
23) Arcana di Giulio Questi (After Hours/Giulio Questi)
Questi, un nome, un mito del nostro cinema più di margine, più irregolare. Autore del più sadico di tutti gli spaghetti western, Se sei vivo spara, e di quell’incredibile La morte ha fatto l’uovo in cui riuscì negli anni Sessanta a piegare perfino la Lollo al suo cinema sadico-grottesco-fantastico. Al festival danno tutti i suoi film, ed è cosa assai buona e giusta. Io scelgo questo Arcana che si palesò come un oggetto alieno nei primi anni Settanta per poi sparire subito in un buco nero. Con una Lucia Bosè bellissima già post-Dominguin quale fattucchiera meridionale in stile ricerca etnografica di Ernesto De Martino immigrata in triste periferia milanese con figlio a carico dotato di strani poteri. Fantasmi edipici, ombre d’incesto nero-mediterraneo. Qualcosa che non s’era mai visto, e che non si sarebbe più visto dopo. Con la rimpianta e compianta Tina Aumont. Culto, culto, culto.
24) Actress di Robert Greene (Internazionale.Doc)
Se ne parla come qualcosa di indispensabile. Vedremo. Il documentarista Robert Greene entra nella vita di Brandy Burre, già attrice della serie sporca, losca e cattiva The Wire, la cui carriera si è però fermata prima di fare il botto. Adesso che è moglie e madre, rimpiange. Un doc esistenziale con molti rimandi al cinema di fiction.
25) The Iron Ministry di J.P. Sniadecki (Internazionale.Doc)
L’ho visto a Locarno ed è in my opinion uno dei migliori documentari degli ultimi anni. Il regista (già coautore del formidabile Yumen) va su e giù per i treni a lunga percorrenza del grande paese filmando interni di vagoni popolati di varia e strana umanità e l’esterno che scorre dietro i finestrini. La nuova, tumultuante Cina e quella che sta sbiadendo e sprofondando fuori dalla storia. Mia recensione da Locarno.
26) Iranien di Mehran Tamadon (TFF Doc/Democrazia)
Una bella sorpresa ritrovarlo a Torino, questo documentario che è stato una delle piccole scoperte della scorsa Berlinale (sezione Forum, se ricordo bene). Un regista iraniano della diaspora torna nel suo paese con lo scopo di sondare l’universo incapsulato dell’islamismo sciita dei mullah. Ne raduna quattro, di quelle autorità religiose, nella decadente ma ancora meravigliosa villa di famiglia fuori Teheran e li pone di fronte a questioni cruciali: l’Iran post-Khomeini e la democrazia; l’Islam e la modernità occidentale; l’Islam e la condizione femminile. Vi garantisco che i mullah riescono a essere perfino amabili, e a tenere ben celata la loro scorza dura. Con momenti ad altissima tensione, da paura, ma anche spiazzanti, come quando si discetta intorno al canto degli uccelli. Indispensabile.
27) Eau argentée, Syrie autoportratit di Ossama Mohammed e Wiam Simav Bederxian (TFF Doc/Fuori concorso)
Una regista siriana di appartenenza curda, Wiam Simav Bederxian, e un regista che ha lasciato il paese collassato per rifugiarsi a Parigi, Ossama Mohammed, montano frammenti di materiali della guera civile girati e postati in rete da miliziani delle varie parti in gioco e da comuni cittadini. L’autoritratto di una nazione-non nazione, di un auto-massacro.
Storm Children, Book 1
28) Storm Children, Book 1 di Lav Diaz (TFF Doc/Fuori concorso)
Il vincitore di Locarno 2014 con il fluviale – quasi sei ore – Mula Sa Kun Ano Ang Noon (From What Is Before), ritorna con un documentario sulle devastazioni provocate nel suo paese, le Fuilippine, dai frequenti tifoni. 143 minuti, che per Lav Diaz sono poco più di un battito di ciglia. Uno dei film più attesi del TFF32.
29) La Sapienza di Eugène Green (Onde)
Arriva anche questo da Locarno, dove a mio parere è stato il migliore tra tutti i titoli del concorso. Film squisito, di rara finezza e di cultura vera. Viaggio in Italia sulle tracce del Borromini di un architetto svizzero in crisi e della moglie. Incroceranno a Stresa una coppia di giovani fratelli, lei malata di un misterioso male dell’anima. Dopo il loro incontro, e dopo il viaggio, niente e nessuno sarà più come prima. Cinema austero, inquadrature rigorose e ossessivamente simmetriche. Dialoghi che intendono resuscitare la lingua barocca, meravigliosamenti finti e inattuali. Prendere o lasciare. Io l’ho adorato.
30) Panico a Needle Park di Jerry Schatzberg (New Hollywood II)
Tra i titoli – più di 30 – della retrospettiva dedicata, come già l’anno scorso, al cinema della Nuova Hollywood, sceglierei questo piccolo film del 1970, che resta ancora oggi uno tra i più duri e implacabili dedicati alla dipendenza da droghe. Una ragazza e il suo boyfriend, tutti e due eroinomani disperati, cercano di sopravvivere in una spettrale New York di anime perse e corpi devastati. Con un Al Pacino giovane e meraviglioso, colto nella sua fase aurorale prima del Padrino.