Torino, Una Passeggiata Nella Mia Città tra Accordi e Disaccordi

Creato il 08 febbraio 2014 da Sunday @EliSundayAnne

Lo scorso dicembre feci una toccata e fuga a Torino. Il tempo di rimpinzarmi di delizie italiane (dopo mesi di hummus e kebab), fare un paio di litigate con mia mamma (quando si torna a casa si ha tutto da rinfacciarsi), ridere per ore con mia sorella (andiamo d’accordo perchè siamo lontane), nonchè godere delle fusa della mia (seppur offesissima) gatta.

Poichè non prevedo ritorni in patria in inverno, non ero attrezzata per affrontare il rigore padano. E così scesi dalla scaletta stile Moira Orfei, con turbante in testa, una maglietta sopra l’altra, jeans e il deserto negli occhi. Di solito (e il nome di questo blog parla chiaro) sono troppo felice per sentire la nostalgia di casa, ma questa volta è stato diverso: ero felice di essere tornata. A Milano Malpensa c’erano -3 gradi: ebbi uno sbalzo termico di venti gradi. Eppure ero felice, avevo le mani e i piedi congelati ma ero felice.

Quando rientro in Italia dall’estero, di solito mi dedico ai seguenti riti aeroportuali:

  1. Mi seggo in un bar e ordino un panino al prosciutto crudo, che fanno strapagare;
  2. Origlio le conversazioni in corso agli altri tavoli, per riassaporare l’italianità;
  3. Faccio mille tentativi per capire quanto credito mi è rimasto sulla sim italiana, perchè non ricordo più il numero da comporre;
  4. Chiamo mia sorella e un paio di amiche, per dire loro “Sono atterrata!”. Mi dà gioia, perchè so che di lì a poco non saranno più solo una voce;
  5. Vado in bagno a darmi una sistemata: non è bello che, dopo tanti mesi di assenza, vedano tornare uno zombie. Una che ha deciso di espatriare deve dare l’immagine della libera e bella, anche se, laggiù, ogni giorno è una battaglia. Ma non ditelo a nessuno.

Non ho voluto che venissero a prendermi all’aeroporto: volevo assaporare da sola, in pullman e in treno, i colori e gli odori di casa mia. E pazienza se l’odore del treno non era proprio di ciclamini: era il mio treno, quello della mia vita di prima, che mi stava riportando a casa.

E’ curioso: quando sono all’estero, l’immagine che ho in mente della madrepatria è rosea e miticizzata. Mi mancano anche gli sguardi curiosi del ficcanaso vicino di casa, il che è tutto dire. Poi torno, e il mito crolla: ma che cavolo ha da spiarmi, quel curiosone lì? E’ che la lontananza ti fa mancare anche ciò che inorridisce, e l’Italia ti sembra meno malmessa di quanto è.

Non è facile raccontare una città. Torino mi è apparsa bellissima e sempre un po’ altera, con le sue luci e ombre, la Mole Antonelliana stagliata nel cielo blu, le tante cremerie e i mercati vivaci della mattina.

In un’intervista, Carlo Fruttero la descrive così: Ci sono posti in cui mi trovo davvero bene, come a Berlino, però dopo un paio di giorni sento crescere una strana impellenza. È quella di voler tornare subito a Torino… questa è casa mia! Direi che è “sincera” perché si mostra per quella che è: ci sono delle zone dove è chiusa e impenetrabile e altre, invece, dove è estremamente aperta. Sa farsi apprezzare solo da chi si sforza di capirla. Torino è solidale e collettiva. Protegge e si protegge, ma è aperta e accogliente.

Appena scesa dall’autobus di fianco alla Stazione Porta Nuova, una giovane coppia ha cominciato a baciarsi proprio lì davanti a me, attraversando Via Sacchi: sono rimasta a guardarli per qualche minuto, con occhi luminosi. Vivere in Medio Oriente non è facile per chi, come noi, è abituato alla spontaneità e alla libertà. In Oman, le giovani coppie si possono tenere solo per mano: nessuna dimostrazione d’affetto è concessa in pubblico. E così, quando si torna in Italia, si notano cose che prima si davano per scontate: un bacio sulla bocca rubato per strada, la libertà di non doversi coprire il viso o i capelli.

Pensi Torino e immagini Fiat: industria, grigio e serietà. Dopo mesi nella Penisola Arabica, mai Torino mi è sembrata così viva di giovani, capelli in aria e borse sgargianti.

Le vetrine del centro invitano a entrare e curiosare:

Ed ecco Via Roma:

In Piazza San Carlo, salotto del capoluogo piemontese, una coppia si stava scattando una foto seduta ai piedi del monumento equeste a Emanuele Filiberto; una donna stava leggendo un libro tranquilla, come se ci fossero state solo lei e le pagine:

E poi Piazza Castello, che fu il luogo più importante dello Stato Piemontese durante la Corte Sabauda: Palazzo Madama, Palazzo Reale e Teatro Regio si ergono in questa piazza che fu costruita nel 1584 da Ascanio Vitozzi, e con i suoi 40.000 metri quadri è la seconda in città per estensione dopo Piazza Vittorio Veneto:

Svoltata in Via Lagrange, sono giunta in Piazza Carignano, dove ho adocchiato una ragazza con la sua valigia:

Museo Egizio, artisti di strada e caffè facevano da cornice a una passeggiata serena:

Via Lagrange, divenuta pedonale, mi ha offerto uno spettacolo inaspettato: lo splendido gruppo di Italian Hot Swing Accordi Disaccordi si stava esibendo in un pezzo pieno di ritmo e allegria, che ho ripreso:

Inebriata dalla musica, ho continuato la passeggiata svoltando poi in Via Cesare Battisti, dove, davanti al caffè Mood, mi sono imbattuta in un’artista che esponeva le sue opere: erano le originali pitture e T-shirt dell’Art Designer e Calligrafa Ivana Petullà:

 Prima che mi sorprendesse il tramonto, sono salita sulla metropolitana leggera in direzione Fiat, per incontrare Paolo, l’amico di sempre. Quello di cui ti puoi fidare, che ti ha teso la mano nei momenti più bui e sostenuta in tutte le tue scelte, senza mai essere invadente. Le persone come lui rendono possibile un’amicizia anche se si è lontani mille chilometri.

Torino è come lui: sincera, solidale, ospitale, confortevole. Ma anche chiusa e a volte ruvida come carta abrasiva.

Una città di accordi e disaccordi.


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