TorinoFilmFestival32. I 4 film che ho visto sabato 29 novembre

Creato il 29 novembre 2014 da Luigilocatelli

Viggo Mortensen in ‘Jauja’ di Lisandro Alonso

Butter on the Latch di Josephine Decker. Onde
All’artista-performer-regista e chissà cos’altro ancora Josephine Decker, questo Torino Festival ha dedicato una personale. Con tanto di sua performance alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Solo oggi son riuscito però a recuperare questo suo lungometraggio, non così folgorante devo dire. Una ragazza resta chiusa fuori di casa, passa la notte con un tizio che probabilmente manco conosce, il giorno dopo raggiunge un’amica alla festa di musica balcanica che ogni anno si tiene a Mendocino, California. Un po’ suona un po’ canta un po’ balla. Si scambia confidenze di sesso (spinto) con l’amica. Adocchia un ragazzo balkan-musicante. Che la porterà nel bosco sulle rive di un piccolo lago, come in un fotoromanzo. Ed è qui che casca la Decker, la quale nonostante il suo curriculum d’artista avant-garde poi ci racconta una storia da liceale innamorata del più bello della classe. Per carità, la mdp vien molto mossa, le immagini son sporche a suggerire presa diretta sul reale, il montaggio è frenetico a farci capire che siamo nel campo dell’arte, signora mia. Da un certo punto in avanti però il film si trasforma, diventa puro delirio, un po’ Lynch un po’ horror, e non si capisce più niente. Mah, non me la sentirei proprio di gridare al miracolo di fronte a quest’operina pretenziosa, confusa e derivativa. Almeno ci avesse fatto sentire un po’ più di musica, macché. Voto 5
Eau Zoo di Emile Verhamme. Festa mobile
Dal Belgio un film che prende i codici e le convenzioni narrative del cinema distopico per young adults (da Hunger Games a The Giver) per stravolgerli e sabotarli. Immergendo la sua storia di giovani in pericolo e sottomessi in un mondo che è sì un domani alterato, ma che è anche la proiezione del nostro presente, filmando nei modi del cinema più austero, poveristico, realistico, con qua e là accensioni e derive surreal-visionarie-simboliche assai belghe, tra Magritte, Delvaux e reminiscenze medieval-fiamminghe. Su un’isola la popolazione cerca di sopravvivere a una crisi economica che ha impoverito tutti, mentre si profila la minaccia di un’invasione dal mare. Ogni fuga è proibita, le ragazze non possono che sposare un autoctono scelto e imposto dagli ottimati. Sarà l’amore di Martin per Lou a far vacillare questo mondo a parte e una comunità pericolosamente trasformatasi in regime. Rigoroso e affascinante. Non apparentabile ad altri film. Voto 7+
Jauja di Lisandro Alonso. Festa mobile
Lanciato a Cannes da Un certain regard, questo film meraviglioso dell’argentino Lisandro Alonso sta facendo il giro del mondo attraverso i festival. Con un successo che cresce di visione in visione. Interpretato, e anche prodotto, da Viggo Mortensen, ci racconta di un danese misteriosamente approdatao in Patagonia sul finire dell’Ottocento insieme alla figlia adolescente. Mentre è in corso una guerra di sterminio contro i nativi, succedono strane cose. Scompare un militare d’alto grado intorno al quale si creano leggende, come in Cuore di tenebra di Conrad. Ci sono attacchi sanguinosi degli indios. E la figlia del danese scappa con un soldatino. Il padre partirà alla sua ricerca in quella terra selvaggia aabdonata da Do e dagli uomini e sarà, letteralmente, un viaggio verso il nulla, verso la fine del mondo. A schiacciare tutto e tutti c’è quel paesaggio non addomesticabile, irriducibile a ogni umanizzazione. Figure incongrue, strani fatti, miraggi: il percorso del capitano danese si fa via via più inquietante e misterioso. Con un finale spiazzante che niente spiega e tutto spiega, e al quale si possono dare mille interpretazioni diverse. Un film di un autore con la sua idea forte di cinema, inquadrature quasi fisse a raggelare e stilizzare azioni, cose, persone in tableaux vivants di grande, ma non leccata, bellezza. Una delle cose più alte viste a questo TFF. Voto 8 e mezzo
La scuola d’estate di Jacopo Quadri. Festa mobile/Ritratti d’artista
A scuola di teatro con Luca Ronconi, nel Centro Santacristina da lui fondato sulle montagne d’Umbria. Lui, il maestro, il guru, e un gruppo di ragazzi intenzionati a far gli attori di mestiere (e tra loro c’è anche qualcuno già conosciuto, come Fabrizio Falco). Lezioni intorno a un pugno di testi, da O’Neill a Hans Christian Andersen. Una volta tanto, un documentario su un genio vero non celebrativo, non adorante, non inginocchiato. Anche perché Ronconi, a 81 anni nonostante la malattia ai reni (tre volte alla settimana deve sottoporsi a dialisi), è sempre attivissimo e sempre molto innamorato del suo mestiere. Son lezioni, le sue, per niente trombonesche, per niente tirate via. Lo si vede da come segue e analizza le prove dei suoi ragazzi, da come entra in ogni piega e sottotesto del testo, dalla enorme energia e passione. Ogni tanto racconta qualcosa di sé, ogni tanto a raccontare di se stessi e di lui sono gli allievi. Sarà che mi aspettato il solito ritratto d’artista sussiegoso e pompier, ma questo La scuola d’estate mi ha parecchio sorpreso. Da vedere, se vi capita. Voto 7+


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