TorinoFilmFestival32. Recensione: THE ROVER. La sorpresa è Robert Pattinson

Creato il 27 novembre 2014 da Luigilocatelli

The Rover, un film  di David Michôd. Con Guy Pearce, Robert Pattinson, Scoot McNairy, David Field, Anthony Hayes. Da una storia di David Michôd e Joel Edgerton. Proiettato al TFF32 in Festa mobile, ma già presentato lo scorso maggio a Cannes nella sezione Midnight Screenings. Ripubblico la recensione scritta da Cannes.
Un uomo e un ragazzo attraversano l’outback australiano dopo un collasso economico che ha distrutto ogni vivere civile. Post-apocalittico reminiscente di Mad Max girato con frenesia action e molta consapevolezza stilistica dal regista dell’ottimo Animal Kingdom. Con un Robert Pattinson bravo oltre ogni aspettativa nel ruolo del naïf Rey. Voto 7+
L’australiano David Michôd è uno bravo davvero, uno che un tre-quattr’anni fa ha azzeccato un film come Animal Kingdom, enorme successo nel suo paese, buon successo in tutta l’area anglofona, Usa compresi, non così apprezzato invece – e siamo alle solite – in Italia. Film implacabilmente darwiniano sulla strategia di sopravvivenza di un clan criminale aussie guidato da una spietata matriarca-madre castratrice e distruttrice se necessario, che tra l’altro ha lanciato a Hollywod e dintorni – per dintorni intendo il cinema semindipendente americano – la grande Jacki Weaver, oltre che Joel Edgerton, poi apparso in una quantità di produzioni di rispetto, da Warrior a The Great Gatsby. Premessa un po’ lunga per dire che c’era da aspettarsi qualcosa, e più di qualcosa, da questo nuovo Michôd in programma a Cannes, oltretutto tratto da una storia scritta insieme a Joel Edgerton, il quale stranamente come attore non compare anche se il main character (interpretato da Guy Pearce) sembrerebbe fatto apposta per lui. Però c’era anche una diffusa perplessità. Per la storia: una specie di neo Mad Max, o western dell’outback australiano, in una distopia molto prossima e ventura, e ci si chiedeva cosa mai ci azzeccasse tutto questo con l’autore di Animal Kingdom. Per la collocazione del film a Cannes: non in concorso e però nella Sélection officielle, inserito in un’anodina sezione detta Proiezioni di mezzanotte, di quelle che paiono diplomaticamente fatte apposta per accogliere e ospitare titoli non rifiutabili, ma neanche ritenuti all’altezza della competizione maggiore.
Invece The Rover non ha per niente deluso, rivelandosi un buonissimo action, in una messinscena concitata e suggestiva di un regno selvaggio e post-civilizzato in cui la bestia umana è costretta a cavar fuori gli artigli. Presentando parecchie, anche se non esplicite, affinità con il precedente film di Michôd. Siamo in Australia, in un futuro che potrebbe essere domani, dopodomani. Dopo un cataclisma economico – e i riferimenti alle bolle speculative degli ultimi anni e relativa crisi finanziaria globale non sono niente casuali – il vivere civile si è degradato, con isole umane che cercano come posono di sopravvivere nel semi deserto, tra mancanza di energia e beni primari, attacchi di improvvisati nemici. Solo alcune miniere sono ancora in attività, diventando la meta e anche il bersaglio di orde umane a caccia di lavoro, risorse, riparo, relativa abbondanza in quel mondo divelto. Siamo nell’incubo temuto e qui realizzato dell’homo homini lupus. Quel che segue è una lunga cavalcata selvaggia di un uomo di nome Eric del quale poco sappiamo, se non che dopo la catastrofe è rimasto solo, privato della famiglia, espulso dalla sua fattoria distrutta, ora vagante in cerca di una vendetta verso chissà chi, o solo di un target su cui rovesciare la sua rabbia. Un uomo degradatosi al limite dell’animale. Una banda gli ruba la macchina, suo indispensabile mezzo di sopravivenza, da quel momento non penserà che a inseguirli, braccarli, distruggerli. Incontrerà e salverà un ragazzo ferito, Rey, fratello del capobanda di cui Eric è all’inseguimento, e da lui ignobilmente abbandonato. Lo aggregherà a sé, sicuro che lo porterà dall’infame. In coppia dovranno difendersi e attaccare, in un racconto che molto deve ovviamente a Mad Max, ma anche agli italian western e al solito Kurosawa. Se il plot è alquanto prevedibile, la messinscena è però della massima serie, con visioni allucinate di un universo disfatto e bagni di sangue ad alta stilizzazione. Guy Pearce è il rabbioso protagonista. Però la rivelazione di questo film è Robert Pattinson come Rey, ragazzo naïf e indifeso che imparerà presto a diventare una macchina per uccidere. Personaggio di idiot per niente savant, al quale l’ex pallido prence di Twilight conferisce il giusto grado di catatonia, e una implosa, trattenuta follia sconfinante in un’angelica e innocente ebetitudine. Siccome anche in Maps to the Stars di Cronenberg, il suo secondo film a Cannes, Pattinson ha fatto la sua bella figura, possiamo dire che è davvero incominciato per lui la carriera di post-vampiro, e che è nato un attore vero. Se pensiamo che a Cannes anche Kristen Stewart in Sils Maria di Assayas si è dimostrata brava oltre ogni aspettativa, c’è da fare i complimenti ai due ragazzi di Twilight.


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