TorinoFilmFestival42: IT FOLLOWS – recensione

Creato il 23 novembre 2014 da Luigilocatelli

It Follows, un film di David Robert Mtchell. TFF32, sezione After Hours.
Già a Cannes se ne era parlato come di un ottimo esempio di horror d’autore. Ma, benché distante dai film sanguinolenti e più psycho-thriller, non ce la fa a elevarsi davvero tra le cose importanti. Una ragazza dopo un rapporto sessuale è prigioniera di una strana maledizione. Film che metaforizza tutte le paure del passaggio al sesso, e pure le diffuse paranoie sull’Aids. Riuscito a metà. Voto tra il 6 e il 7
Lo inseguivo da Cannes, dove l’avevano dato alla scicchissima Semaine de la Critique – un sigillo di garanzia – suscitando subito un buzz da ‘è arrivato il nuovo capolavoro dell’horror, correte a vederelo’. Invece, perso là sulla Croisette – mica si può vedere tutto ai fetival -ml’ho finalmente recuperato qui a Torino. Dove subito qualche webzine ne ha (ri)parlato come di un’opera assoluta. Vero? Mica tanto. Il film convince a metà e delude a metà, sta a voi decidere da quale metà prenderlo e giudicarlo. Un horror teen che usa parecchi cliché del genere, ragazzini abbandonati a se stessi e alle loro ombre e pulsioni (in primis sessuali) che si ritrovano intrappolati da mostri di varia natura, e naturalmente qualcuno si salverà, qualcuno ci lascerà la pelle. Grazie a Dio almeno stavolta non ci sono case nel bosco con nascoste dentro macellerie a produzione seriale di carne umana. No, qui di sangue non se ne vede quasi, il giovane e talentuoso regista David Robert Mitchell spazza via ogni traccia di baracconaggine e barocchismo da paura, di torture porn e altre messinscene basse e truculente della crudeltà, si riallaccia seppure alla lontanissima alle nobili origini dello psycho-thriller alla Hitchcock, Lang, Polanski. Creando la paura soprattutto attraverso l’intensificazione del senso di minaccia, dell’attesa, della sospensione. Ma alla fin fine resta schiavo del suo genere di appartenenza, non ce la fa ad emanciparsene e a diventare grande davvero, resta tutto interno al recinto con i suoi adolescenti allocchi in preda a forze maligne e oscure e a creature di varia e articolata malvagità, senza riscrivere davvero il canone, senza invenzioni dcisive. Senza conferire ai caratteri nessun spsessore. Anche se con passaggi molto belli e assai finemente girati. Siamo in un qualche suburbia di una qualche parte dell’America. Le solite villette monofamiliari allineate e apparentemente tranquille, istantanee della normalità Usa. Una ragazzina di nome Jay ha un appuntamento con un tizo, un coetaneo come tanti altri, le solite cose, qualche birra, poi finiscono nella macchina di lui e fan l’amore, e per lei è la prima volta, o così sembra. Da quel momento tutto cambia e si complica maledettissimamente. Perché attraverso il rapporto sessuale il ragazzo le ha trasmesso una maledizione, quella di diventare l’oggetto di una persecuzione di entità ultranaturali che, prendendo di volta in volta le sembianze delle più diverse persone, anche di persone care, cercheranno di ucciderla. L’unico modo di liberarsi di questa specie di virus supernatural è trasmetterlo tramite sesso a qualcun altro, che è per l’appunto il motivo per cui il tizio s’è rimorchiato la peraltro molto bellina Jay. Puntualmente cominciano a palesarsi a lei le presenze persecutorie, tra spaventi, urla, fughe e quant’altro. Nella brutta storia verrà coinvolto un pugno di amici di Jay, due ragazzi e due ragazze, e di più non voglio dire (non è che succeda granché, comunque). Dabid Robert Mitchell gioca parecchio con le convenzione, rovesciando innanzitutto quella dei suburbia come luogo di sicurezza e tranquillità della media famiglia americana, operazione peraltrro già vista centinaia di volte, in film, tv, romanzi e quant’altro. Soprattutto cstruisce un horror intorno all’iniziazione sessuale degli adolescenti, metaforizzandone tutte le paure, le ansie, le inibizioni e pure disinibizioni. Il sesso al suo stato aurorale può aprire le porte dell’inferno, non solo quelle del godimento paradisiaco come i fanatici cultori del liberazionismo sessuale predicano da almeno mezzo secolo in qua. It Follows traspone sul piano simnbolico pure la grande paura dell’Aids e di ogni malattia sessualmente trasmissibile, recupera il senso oscuro e potenzialmente tellurico e destabilizzante dell’eros. Ricordando quella che resta la narrazione paradigmtica in questo campo, Carrie di Stephen King (e poi, al cinema di Brian De Palma). Mitchell sa creare molto bene atmosfere sospese e immagini ad alto tasso di suggestione, come quella del sangue che si allarga in piscina fino a lambire Jay. Ma non ce la fa a costruire, pur partendo da un’otttima premessa e idea narrativa, un racconto avvincente e complesso. Tutto è già scritto nella prima parte del film, le sorprese sono quasi azzerate, l’andamento è anche assai lento e contemplativo, che ogni tanto si avrebbe voglia di una bella scossa di horror sanguinolento e trucido. It Follows è promettente, acerbo e incomputo, come i suoi protagonisti.


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