Torna a casa e basta

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

A casa dei miei nel paesello sull’Isola vige un regime di segreti di stato e strategie di comunicazione che ruotano tutte intorno a un grande e potente personaggio. Una stratega silente, che pur ipovedente riesce comunque a regnare sulle donne della famiglia.

Si tratta di mia nonna.

Ha 92 anni e, da quando mio nonno è mancato 12 anni fa, le sue condizioni di salute sono peggiorate, la sua retinopatia le ha steso un velo via via più spesso davanti agli occhi e il diabete la costringe a mangiare come un uccellino, mentre d’inverno le si riaccendono i bruciori del fuoco di Sant’Antonio. Passa le sue giornate con uno scialle nero sulle spalle, a prescindere dalla stagione e dalla temperatura esteriore, seduta sulla sua poltrona in cucina (in estate) oppure in quella a fianco al camino (in inverno). I suoi margini di spostamento sono infinitesimali, e anche l’udito purtroppo non la aiuta a sentirsi parte del mondo che la circonda.

I momenti clou della sua giornata sono l’ascolto delle orazioni del rosario e l’Urbi et Orbi del Papa la domenica. I suoi problemi di udito rendono impossibile conciliare le sue pie attività di ascolto delle preghiere trasmesse alla radio con la vita quotidiana della famiglia: ecco perché mio fratello ha rinunciato a un paio di auricolari molto cool da collegare al pc, permettendo a nostra nonna di ascoltare la radio in streaming in perfetta intimità. Questo stratagemma ha riportato il silenzio in casa e una vita serena per tutti, anche per chi non è poi tanto pio. Vedere mia nonna in queste vesti bianco-nere, una donna perennemente in lutto (come ogni vedova sarda di vecchi costumi) con due cuffie da rapper che ascolta preghiere in streaming, rimane uno dei miei esempi preferiti di meraviglie tecnologiche.

Nonostante questo suo isolamento forzato, mia nonna fa moltissime domande, un po’ sui morti della settimana e sulla zona del cimitero in cui sono stati tumulati, e un po’ per essere aggiornata sulla vita di noi nipoti, cosa su cui poi può rimuginare in silenzio per ore, prima di troneggiare con le sue conclusioni.

Manco a dirlo, negli ultimi 3 anni la mia vita è stata per lei uno degli argomenti più discussi e fonte di preoccupazione. Giovane, senza figli, separata e trasferitami da sola in un altro Paese, sono per lei l’emblema dell’infelicità.

La notizia della mia separazione le è stata proporzionata con il contagocce, in un pathos crescente di crisi sentimentale che l’ha lentamente preparata al fatto che mi trovassi in una città straniera, da sola e senza più una presenza maschile che avrebbe potuto eventualmente mantenermi e difendermi.

Ogni volta che torno a trovarla, mi stringe le mani e mi fa le tre domande: come mi trovo a Barcellona, come va con il lavoro e se sono contenta. Io le racconto, cerco di darle qualche dettaglio, ogni tanto incrocio gli occhi di mia madre che mi avverte che sto sconfinando su territori non esplorati e quindi taglio il discorso. Vietate tutte le informazioni che potrebbero dar da pensare a nonna, alle cui domande di approfondimento devono poi rispondere le sue figlie, quando io sono andata via.

In ogni caso, qualsiasi cosa io le dica, la sentenza nonnesca è sempre la stessa: “la sento proprio infelice, poverina”. Eh lo so, non c’è verso di farle cambiare opinione.

Qualche giorno fa pare che mia madre abbia cercato di tastare il terreno sull’argomento “E se trovasse un nuovo compagno?”. Mia nonna scuoteva la testa, per niente convinta: “Non le serve un altro compagno, ormai deve tornare a casa da noi, a casa e basta”.

E basta. Kaput. Il concetto di rifarsi una vita non rientra fra i principi nonneschi. Me ne dovrò fare una ragione.

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